26 aprile 2015

Il baratto

Oggi piove, ma noi, che ormai siamo esperti del gioco della felicità, siamo usciti lo stesso.
E visto che siamo esperti in scelte giuste al momento giusto, siamo usciti in bici.
Catwoman ha una bici piccolissima, che quando ci sale sembra Brand dei Goonies mentre insegue l'auto. (E se non avete visto i Goonies, dovete provvedere immediatamente).
In più è di Hello Kitty, e non so se lo sapete, ma le cose di Hello Kitty vanno SOLO per le bambine sotto i sei anni o le donne tardoadolescenti post 40enni.
Abbiamo un amico, che ha un negozio tipo "tuttoUnEuro" in centro, che le mie figlie chiamano Sandokan perchè ha il codino e il pizzetto. Lui ha tre figli, e visto che aderisce-come noi- alla filosofia : "se posso non lo compro e se devo comprarlo, lo compro usato", ci ha proposto uno scambio. Lui ci ha dato la bici smessa di suo figlio, e noi gli abbiamo lasciato lì la bici rosa shocking per la sua bimba di tre anni.
Almeno per quello che riguarda l'economia domestica, forse non per quella dei grandi sistemi, se usassimo il baratto, saremmo tutti più ricchi.(vi linko un post in cui parlo di persone che sono davvero ricchissime, nell'assoluta essenzialità della loro esistenza autentica).
CatWoman ha fatto il gioco della felicità (per contrastare il lamento di: piove, sono bagnata, non posso pedalare bene, i capelli mi sgocciolano sul collo, ho fame, ho freddo, ho caldo, sono sudata) e abbiamo concordato che nonostante la pioggia, abbiamo avuto il coraggio di uscire. E se non fossimo usciti in bici, non avremmo potuto fare il baratto. E fare contente non una, ma DUE bambine.



I giochi per essere felici-Per mamme e bambini-

In questo periodo CatWoman sta manifestando tutta la sua personalità tipica dei gatti.
Volubili, ombrosi, esigenti, bisognosi di coccole esclusive, insofferenti a qualsiasi contrarietà.
I figli non hanno le personalità che noi vorremmo.
E soprattutto, non si può plasmare la personalità di un figlio.
La si può educare, ovvero estrarre dalla loro identità profonda le risorse (che loro hanno di certo) per contrastare gli aspetti negativi del loro io, ovvero NON gli aspetti che a noi genitori non piacciono, ma gli aspetti che-in fin dei conti- rendono loro stessi infelici.
Questo bel pensierino, che ho elaborato faticosamente in 12 anni da genitrice, con l'aiuto del Gmarito, dell'esperienza, dei consigli degli amici e anche dei nonni, è una pratica quotidiana, faticosa, spesso isterizzante (per tutti) e che va modificata costantemente in relazione al figlio con cui si ha a che fare.
(Altro che spinning)

Cat Woman ultimamente  è sempre insoddisfatta, infelice, lamentosa. Sembra vada cercando col lanternino sempre nuove occasioni per lamentarsi, per essere infelice, per sentirsi perseguitata da tutti e da tutto.
il vento perchè le scompiglia i capelli. I capelli, perchè si scompigliano.
(-Allora li tagliamo!-E lei:-certo! perchè tu vuoi che io sia brutta!-)
Il sole perchè le dà fastidio alla vista.
I suoi occhi perchè sono azzurri
(-Io odio i miei occhi! Sono la più sfortunata!Perchè sono chiari e la luce mi dà fastidio!)
La cartella troppo pesante o troppo larga.
Le scarpe strette.
I compagni che le hanno detto "cicciotta", il maestro che ha parlato a voce bassa e lei non ha sentito bene.
Le matite portano con sè una infinità di motivazioni per lamentarsi. Sono troppo corte. Sono del colore sbagliato. Sono di cattiva qualità, hanno la mina spezzata, non si riescono a temperare- e da qui parte la filippica sul corollario riguardante il temperino, che vi risparmio.
Potrei continuare all'infinito.
Lei è il puffo brontolone.

Un giorno le ho detto, su consiglio di un'amica:
-CatWoman. Hai due scelte. Puoi scegliere di essere sempre arrabbiato o triste, opure puoi scegliere di essere felice. La felicità è una scelta.Se tu che decidi.-
Era un discorso da grande e mi aspettavo che protestasse bambinescamente, invece mi ha guardato coi capelli costantemente davanti agli occhi, più triste che arrabbiata e mi ha risposto:- Lo so! Ma non ci riesco!-
E questo mi ha aperto gli occhi su due cose.
La prima è che lei fosse la prima a subire il suo umore e stesse chiedendo aiuto a me per difendersene. E quindi che i suoi capricci non fossero semplicemente un attacco a me, all'autorità genitoriale e al mondo intero.
La seconda è che i bambini sono benissimo in grado di capire cose profonde e serie, e avere consapevolezza della loro realtà esistenziale.

Ovviamente il primo sentimento che ho provato, che è  sempre il primo che provo in ogni occasione, essendo MADRE ed essendo IO, è il senso di colpa.
Poi, subito dopo, ho deciso sarebbe stato opportuno passare all'azione.
E ho elaborato una strategia da proporre a CatWoman.

E un,altra strategia per me.

Per Catwoman ho "inventato" il gioco della felicità.
Eccolo:
Quando ti senti triste, arrabbiata o annoiata, trova almeno un motivo per essere felice comunque.  (Esempio: sono arrabbiata perchè devo fare i compiti e non posso guardare i cartoni. Motivi per essere felice: ho fatto i compiti con la mamma, che mi ha aiutato a temperare tutte le matite. Ho avuto l'occasione di far vedere tutto il quaderno a papà. Ho battuto il record nelle operazioni in matematica facendone 15 in meno di 5').
Il gioco prevede che se trovi almeno 5 motivi per essere felice nonostante tutto, ho in premio un buono.
I buoni sono biglietti che possono essere spesi una volta sola.
Ecco alcuni esempi:
Buono per il trasporto della cartella quando è pesante, per avere un aiuto nei compiti. Per fare merenda davanti alla tv (di solito proibitissimo), di fare una passeggiata da soli coi genitori, scaricare un gioco sull'ipad, fare un gioco di società anche con mamma e papà, un aiuto da parte di un genitore per riordinare la stanza, ecc.


Devo dire che il solo fatto di avere inventato questo gioco l'ha resa felice. I capricci e le scontentezze nascono comunque, ma sembrano durare di meno.
Ovviamente questo gioco ha scatenato la gelosia di WonderWoman, che voleva pure lei un gioco tutto suo.

E quindi ho partorito un gioco geniale.
Si chiama il gioco di WonderWoman, ma in realtà il vero nome è : come far collaborare i figli senza stressarti l'anima.
Eccolo, parla da sè.
le voci sono : apparecchiare, sparecchiare, pulire, riordinare, fare babysitteraggio, ecc. Ad ogni voce corrisponde un punteggio, e ogni 10 punti si ha diritto ad un buono.
Ora litigano per chi deve sparecchiare ed è una settimana che non spazzo la cucina!



22 aprile 2015

L'unghia sfigata

Le unghie sono un simbolo.
Le unghie curate sono nel mio inconscio la manifestazione della donna adulta. Della donna adulta, che non ha bisogno di strapparsi le unghie a morsi. Della donna adulta che ha un buon livello di autostima.
Che nonostante tutto ha il controllo di sé, tanto da avere la freddezza di farsi la manicure.
Bene, dopo vari tentativi di raccontarmela, di provare a mostrarmi per quella che NON sono, ovvero indossando unghie posticce alle cerimonie davanti a parenti per darmi un tono (salvo poi staccarsi -macabre- proprio quando fai il brindisi col calice di cristallo), ho deciso di forzare la mia natura ricorrendo a ciò che ho sempre aborrito.
La ricostruzione delle unghie.
La mia insicurezza e ansia nevrotica si sarebbe fermata davanti ad uno strato di gel che avrebbe reso le mie unghie come quelle di un manichino.
Ebbene, è andata bene per mesi.
La facciata reggeva.
Mi guardavo le unghie e mi sentivo adulta.
Mi strappavo i capelli, è vero, ma è socialmente più tollerato e di gran lunga meno appariscente.(Finchè non diventi pelata?).
Poi era gratificante cambiare colore, molto creativo, se resisti alla tentazione del color vomito d'ubriaco che va tanto di moda.

Poi, va da sé.
Non è possibile che io abbia costanza. Avrebbero dovuto chiamarmi Costanza, che magari sentendomi chiamare così, sarebbe stato un promemoria.
(Ma forse, non sarei una grafica frustrata al giorno d'oggi, ma una inflessibile insegnante di scherma.)

Un giorno, le unghie hanno cominciato a spezzarsi, così come giorno dopo giorno la mia facciata di persona matura e calma e col pieno controllo di sé si è sgretolata e sfaldata come la cheratina messa sotto stress dagli agenti chimici.

E allora, via. Ho naturalmente ricominciato a massacrarmi le unghie senza pietà, deliberatamente, assaporando la mia sconfitta con autocommiserazione (e l'alibi del genio creativo tormentato, ovvero: Picasso mica si faceva la manicure)

Poi cosa è successo? E' successo che ho cambiato lavoro.
Sono diventata una sorta di segretaria.
Chi più di una segretaria deve avere un aspetto rassicurante organizzato ed efficiente? Avere una segretaria che si smangiucchia le unghie sarebbe come avere una estetista coi brufoli e il pelo sotto le ascelle.
E così, ci ho riprovato.
Niente gel però, già io faccio fatica ad assoggettarmi alla schiavitù del parrucchiere una volta l'anno, la manicure ogni 20 giorni è improponibile.
Avete mai visto la ricrescita delle unghie con lo smalto semipermanente? Sembra una mutazione genetica incontrollata con DNA di grifone.
E così, con la pazienza che NON mi contraddistingue sono riuscita a fare cresceere le mie unghie fino ad una lunghezza che non fosse ridicola una volta laccata con lo smalto verde smeraldo.

Sono 20 giorni che riesco a non toccarle.
Tranne una.
L'unghia sfigata.
Perchè di queste due personalità che fanno a botte, la ME adulta che vuole essere responsabile, e la ME casinara e creativa e nevrotica, non posso semplicemente sopprimerne una.
A beneficio della personalità che amo di meno.
L'unghia sfigata è sfigata di suo, non ce la può fare. Si spezza, si scrosta, e allora senza la barriera dello smalto, la tormento, me la mangio.
E' lì per ricordarmi che io non sono una vera segretaria.

Sono come i supereroi.
Serve solo per coprire la mia identità segreta.

E per non diventare completamente pelata.




15 aprile 2015

Sogni nei cassetti e nuovo lavoro

Il nuovo lavoro. 
Mesi fa avevo annunciato che non sarei più stata vigilessa e avrei fatto un lavoro che mi piaceva. Solo metà dell’annuncio è vera, e –per la cronaca- visto che non ha cominciato a piacermi fare la vigilessa, se ne desume che ho smesso di fare la vigilessa.
Ma non ho cominciato a lavorare in Biblioteca, il mio sogno nel cassetto nella categoria (un po’ sfigata) de: sogni venuti ad un compromesso.

Dunque, ho lasciato la divisa senza alcun rimpianto di sorta, per lavorare in ufficio, sempre presso il Comando dei vigili. Nell’ufficio Segreteria.
Ora.
Chi mi conosce sa che nella graduatoria dei lavori più improbabili (all’interno dell’insieme: lavori alla mia portata) per la mia personalità ed attitudini, dopo il vigile, al primo posto, e prima del geometra, viene la segretaria. Perché, ho tante qualità (vero, Gmarito?) ma quella della precisione, organizzazione e pianificazione, non mi appartiene. Però ci sono molti vantaggi, in primis il fatto che dovrò sforzarmi a dare il meglio di me cercando di superare i miei limiti, e so che mi verrà meglio di quando mi sforzavo di mantenere la calma di fronte agli insulti dei cittadini multati.
Intanto ho un ufficio. Un ufficio! Un tavolo, un pc, una SEDIA su cui sedermi. Ho dei cassetti con dentro delle cose personali, e mi rendo conto che in questo momento sembro WonderWoman, di anni 9, che vede per la prima volta un ufficio, ma vi assicuro che è quasi commuovente, dopo svariati anni in cui ho dovuto stipare in un borsello bianco, anti-ergonomico, grande come un A4, pochi effetti personali indispensabili quali: assorbenti assortiti, fazzoletti, gel igienizzante, caramelle, cerotti, un elastico per capelli, portamonete per i 6 caffè giornalieri. Oltre alle altre cose che servono al vigile, in primis il bollettario delle multe.

 Posso bere quando ho sete. Andare in bagno quando mi scappa. Posso vivere in un microclima compatibile con la vita. Alla mattina posso scegliere i vestiti (e le scarpe, e gli orecchini, e le collane, e lo smalto, e la pettinatura), e questa grande stimolante, emozionante, femminile novità, ha dato origine a sessioni di shopping esaltanti (solo per la sottoscritta evidentemente.)

Ogni mattina, per stimolare il programma anti-sciatterìa attivato recentemente, mando un w’up con un selfie del mio look (ma mi dicono che si dice outfit adesso) alla mia lesboamica, incentivando l’indispensabile competizione femminile che altrimenti qui, con tutte ste donne in divisa, scarseggia.
Inoltre in lavoro non mi dispiace. Anche perché la mia capa (donna) è una persona ingambissima, che credo abbia dei superpoteri pure lei. (comincio a sospettare che gli Xman siano in mezzo a noi).
E lavorare per una persona molto esigente e per la quale si prova stima, efficiente, e che prende su di sé le responsabilità che le competono, in grado di delegare intelligentemente, (quindi il vero CAPO) è piacevole anche se il lavoro di per sé non è particolarmente creativo (ah, ma faccio dei Diagrammi di Flusso con delle palette di colori e degli effetti grafici DA PAURA). Il tempo vola. Quando prima, mentre vagavo a piedi col mio buffo cappello e borsello, sognavo di essere il Bianconiglio e controllare la dimensione temporale, per far muovere quella dannata lancetta dei minuti sul quadrante.
Eqquindi, son contenta.
Beh, ci sono degli aspetti negativi. Ma d’altra parte l’ostilità di qualche collega- se prima c’era- non può che peggiorare quando non gli offri più il caffè al bar o è costretto a rivolgerti la parola durante un turno di sei ore, assieme. E va bene così, direbbe Vasco.
Torno a casa e non perdo conoscenza sulla prima superficie orizzontale che trovo, ma posso addirittura stirare guardando al mia serie piratata preferita, oppure-ancora meglio- disegnare forsennatamente finchè SuperMario non si sveglia.
Il Gmarito ora si aspetta una mogliettina riposata, fresca, che pure stira, e cucina non come una cuoca da Campo, e che gira per casa costantemente in babydoll e reggicalze. Ognuno ha i suoi sogni, nel cassetto.

;-)

14 aprile 2015

il marito ideale

A me fare le pulizie non piace.

Cioè mi piace l’idea delle pulizie.

Un po’ come la voglia fare ordine, quando guardi il catalogo dell’ikea, in cui oggetti apparentemente lasciati in disordine hanno una palette di colori che si intona con le tende.
Mi piace l’idea del detersivo profumato, di pavimenti sgomberi da mobili e oggetti su cui passare lo straccio, i guanti di gomma colorati e intonati al grembiule (what’s grembiule?), la cera da passare sulle superfici di legno, a ritmo di musica e facendo anche esercizi per rassodare i glutei nel frattempo, come spiegano demenziali articoli delle riviste femminili in vista dell’estate.

Poi, la realtà è un'altra. Prepari il secchio, e ti accorgi che prima di passare allegramente lo staccio, devi spostare una eterogenea massa di oggetti che vanno dalle sedie, al mastodontico peluche di pezza, ai 5000 pezzettini di giochini e oggettini insulsi (che diventeranno FONTAMENTALI  appena deciderai di buttarli via) che ricoprono il pavimento in questione.
Allora tantovale sniffare l’odore del vim direttamente dal flacone e via, il bisogno di profumo di pulito è appagato.

E’ ovvio, la casa pulita e profumata piace a tutti. E’ quello che sta in mezzo tra una casa da emergenza sanitaria e una praticabile e provvisoriamente in ordine, che mi crea qualche difficoltà. 

Anche perché difficilmente ci sarà la possibilità di pulirla in assenza di creature che si aggirano pestando dove hai passato la cera, disegnando casette sui vetri con le dita sporche di moccolo, rovesciando un milione di pezzetti di lego in corridoio.

Da qualche tempo da noi viene, una volta a settimana, una signora. Mentre Mario dorme e poi successivamente mentre sono in giro a portare e recuperare i Fantastici dalla miriade di attività che siamo riusciti a fare entrare dentro il pomeriggio di giovedì, lei compie il miracolo.
Appena arriva, tutto prende il giusto corso. 
E’ come se l’intero universo ritrovasse l’armonia del moto perduto all’inizio della creazione.

Lei non si limita a pulire, lei propone. –Facciamo una lavatrice?- (notare la delicatezza sublime di quel plurale majestatis).
Lei riesce a svuotare il cesto della biancheria in un pomeriggio. Lavando,e h. Non buttando tutto nell’inceneritore come farei io presa dalla disperazione.
-La prossima settimana laviamo i vetri?-
E io: -sì!!!!! laviamo i vetri, dai!!!!-
 Mi sembra improvvisamente fantastico lavare i vetri, trascinata dalla sua operosità tranquilla e inesorabile, che a me verrebbe l’ansia solo all’idea di prendere la bacinella e la spugna.

Quando torno dal pomeriggio passato a fare da autista, entro in questa casa profumata di lavanda, con i  cuscini sopra al divano, la cucina linda con il tavolo sgombero, e lei col sorriso sulle labbra che mi dice:- mi è avanzato un po’ di tempo e ti ho stirato due camicie.-

Già il fatto che le avanzi tempo è la prova che è dotata di poteri soprannaturali in grado di controllare lo scorrere del tempo.

Lei non si limita a pulire. Lei si prende cura di te, un po’ come tua madre.
Quando, prima di uscire, mi informa che porterà in cantina i vetri, io, che per far portare la spazzatura in cantina dal Gmarito devo ricordarglielo almeno 4 volte  e poi lasciare il sacchetto puzzolente laddove possa inciamparvisi, come una tagliola, affinchè non si dimentichi di farlo, mi domando.
Forse non sarebbe bello sposare una colf?

O almeno, ammettere la bigamia, dai.



11 aprile 2015

La corda rossa

Abbiamo lasciato i due fratellini sperduti, nel bosco, lontani l’uno dall’altro, arrabbiati.
Ma non passano molti minuti, che subito si pentono. Francesco comincia a preoccuparsi per il fratellino, e comincia a chiamarlo.
Giovanni, fatti pochi metri sul sentiero, si sente solo e sperduto, e vuole tronare indietro dal fratello maggiore.
Improvvisamente nulla è più importante, né lo gnomo, né il litigio, nemmeno più il fiore azzurro conta più. Soltanto ritrovarsi.
Francesco corre dietro al fratellino, Giovanni torna sui suoi passi, e finalmente si ritrovano, abbracciandosi con le lacrime agli occhi.
-Non scappare più!- Dice Francesco
-Non lasciarmi più andare via!- dice Giovanni
Adesso che sono di nuovo insieme, si sentono entrambi al sicuro.
Intanto però le ombre hanno cominciato ad allungarsi, la sera sta scendendo sulla foresta. Francesco sa che nel bosco la notte scende all’improvviso, che bisogna mettersi al sicuro. La notte nella foresta è spaventosa, tutto diventa pauroso e minaccioso.
-Giovanni, dobbiamo accendere un fuoco per tenere lontani gli animali feroci. Vai a cercare della legna, io costruisco un riparo-
-Ho paura, paura di perdermi ancora!- Piange Giovanni.
Francesco ci pensa: devono fare in fretta, l’oscurità avanza, non c’è tempo da perdere. Allora gli viene un’idea. Apre il suo zaino e prende un grosso gomitolo di corda rossa. L’aveva notato quando ha preso i panini. Chissà perché il suo papà ce l’ha messo, però ora gli è utile. Lega un capo dello spago al polso di Giovanni, e un altro capo al suo. –Ecco, vedi, adesso anche se ci allontaniamo, non possiamo perderci, ci ritroveremo sempre. Resteremo legati, così niente ci separerà.- Giovanni si rassicura e comincia a cercare della legna, deve essere bella secca, gli ha detto suo fratello.
Francesco intanto raccoglie lunghi rami robusti, taglia fronde di nocciolo con il suo coltellino, e comincia a costruire, legando il tutto con la robusta corda che ha trovato in gran quantità, un riparo per la notte, a forma di capanna. Per ripararsi dal freddo e dall’umidità. E dalla paura.
In terra stende un telo impermeabile. Il rifugio è pronto.
Giovanni arriva a più riprese con rametti, corteccia, pigne; è piccolo e porta poche cose alla volta, ma piano piano un bel mucchio di legna da ardere si accumula vicino al loro riparo.
-Che bella casetta, Francesco!- Dice entusiasta. Francesco è molto orgoglioso del suo lavoro, la capannuccia è piccola, ma così staranno vicini vicini, non avranno freddo, e si sentiranno più al sicuro.
Ormai la sera è calata. Fanno appena in tempo a circondare la legna con delle grosse pietre, ed ad accendere il fuoco con i fiammiferi. Gli zaini sono piccoli, ma quante cose riescono a contenere! E’ la prima volta che accendono un fuoco: bisogna curarlo perché non si spenga subito, e i due fratelli insieme rimangono attanti per un po’ perché la fiamma attecchisca bene e abbia tanto materiale da bruciare. Intorno si fa tutto buio, i due fratelli non vedono che ombre attorno a loro, sentono molti rumori e fruscii. Francesco decide che è ora di dormire. Entrano nella loro capanna, stendono i sacchi a pelo e ci si infilano dentro. Si sentono più al sicuro, con il fuoco, là fuori, come una sentinella.
-Sento dei rumori….-piagnucola Giovanni
Francesco allora comincia a cantare una ninna nanna buffa, che cantava sempre la mamma. E piano piano, vicini vicini, si addormentano.
La foresta si sveglia presto. Gli uccelli cominciano a cantare all’alba, e i due fratelli si svegliano presto. Una sorpresa li aspetta: a far loro da sveglia, davanti alla loro capanna, c’è l’uccellino azzurro che canta. I due fratelli ridono di gioia. Finalmente sanno che direzione prendere. Infilano veloci nello zaino tutte le loro cose. Giovanni è un po’ dispiaciuto di lasciare la loro casetta.-Mi piacerebbe restare un pò qui con te, con l’uccellino azzurro a farci compagnia, il fuoco che ci scalda.-
-Non possiamo! Non dimentichiamoci del fiore azzurro e della mamma! Quando l’avremo trovato ti prometto che costruirò un’altra capanna uguale nel nostro giardino e sarà il nostro rifugio.-
E così, nell’aria fresca del mattino, ricominciano il cammino, seguendo l’uccello azzurro, che indica loro sempre il sentiero giusto. Piano piano si accorgono che la strada si fa in salita, e anche il clima comincia  cambiare. Fa sempre più freddo, gli alberi sono più spogli, sembra calare l’inverno.
Francesco e Giovanni indossano giacche pesanti, sciarpe, cappelli e guanti. Trovati negli zaini quasi per magia. Ad un tratto comincia a scendere qualche fiocco di neve. Giovanni e Francesco rimangono esterrefatti, ma continuano a camminare, in salita, nella foresta sempre più bianca. L’uccello azzurro li precede sempre, svolazza di ramo in ramo, aspettandoli. Questa volta è facile vederlo, i rami sono spogli, e nel bianco l’azzurro balza all’occhio facilmente
 –Sono molto stanco!- si lamenta Giovanni, che resta indietro e qualche volta si lascia trascinare dal fratello maggiore approfittando dello spago che li lega (infatti hanno deciso che non si slegheranno finchè non torneranno a casa). Francesco non si lamenta, anche lui è stanco, infreddolito. Allora si ferma e rovista nello zaino.
Ormai ha imparato che quando ha bisogno di aiuto, gli basta guardare negli zaini preparati del papà: troverà sempre quello che gli serve, anche quando non ha la più pallida idea di quello che sta cercando. E infatti gli saltano all’occhio due belle tavolette di cioccolato.

-Guarda Giovanni! Ti darò un quadratino di cioccolato ogni volta che oltrepassiamo 7 trochi d’albero lungo il sentiero, ok?- A Giovanni sembra un bellissimo gioco, e poi non ha fatto colazione, dunque ha proprio voglia di mangiare qualcosa. Così vanno avanti un bel po’, contando e mangiando, di nuovo vicini, lungo la salita.