27 maggio 2015

se da ta vo


Sul titolo, solo chi ha visto Franckenstein junior può capire. Oggi voglio parlare dell’ansia. Oltre ad essere un monumento vivente ai sensi di colpa, posso dire che potrei essere la campionessa olimpica dell’ansia. D’altra parte, una che scambia il tuono di un temporale con la caduta di un asteroide svegliando i bambini per farli evacuare nel cuore della notte, non potrebbe che vincere la medaglia d’oro. La mia ansia non è costante né uniforme, dipende dal clima, dal grado di umidità, dal mio peso, dallo stato del disordine della casa, dalle mie ore di sonno, dalla mia cervicale, dall’agitazione e dallo stato di salute dei bambini, dal calendario, da quello che ho sognato la notte, dall’odore dell’ammorbidente, dal livello raggiunto nel cesto della biancheria, dal giorno della settimana, dalla faccia del Gmarito. Ora, dopo un weekend per nulla particolare ma assolutamente sfinente, caotico conflittuale e disordinato, mi sono resa conto che.
Uno. La mia ansia dipende solo apparentemente da fattori esterni,
Due. La mi ansia è direttamente proporzionale alle capacià visive ed uditive: quanto più riesco a ridurle, tanto più mi rilasso
Tre. L’ansia è contagiosa e quindi se io sono nervosa e urlo ai bambini di non urlare, ciò non gioverà, alla mia anisa. (e nemmeno ai bambini)
Quattro. Respirare non serve. Non serviva una mazza quando ero in travaglio, e nemmeno servirà per diminuire l’ansia. Tutt’alpiù posso andare in iperventilazione e svenire. Quello forse, gioverebbe.
Allora ho deciso scrivere un memorandum, non è un manuale, perché un manuale prevede che io sia una esperta, matura, responsabile persona che diffonde buone pratiche già sperimentate.
E io non lo sono, no.
Memorandum dei sedati(a)vi dell’ansia (escludendo sostanze chimiche e punturoni )
1.    Ciò che non posso fare oggi, sicuramente domani potrò farlo con più probabilità
2.    Quando senti che vuoi ucciderli tutti, chiuditi in bagno con un dispositivo collegato a internet e rimanici per 35 minuti, possibilmente con le cuffie auricolari
3.    Quando vedi disordine ovunque posso ricordarmi che:
-       Noti studi pubblicati su facebook sostengono che i disordinati sono più creativi, intelligenti duttili e probabilmente anche più belli degli altri
-       Quando sarò vecchia avrò una casa sempre in ordine (o forse no) ma comunque rimpiangerò i lego sul pavimento
-       Vale la pena mettere a posto solo nelle occasioni in cui ci sono ospiti che possano fugacemente illudersi che la casa sia ordinata, almeno per mezz’ora.
4.    I vestiti lavati rimarranno puliti per poco, quelli sporchi tendono comunque a aumentare indipendentemente da quante lavatrici io riesca a fare in un giorno, in fondo abbiamo gli armadi pieni, ergo, posso benissimo prelevare i vestiti direttamente dalla cesta, piegandoli all’occorrenza, ovvero 5 minuti prima di farli indossare
5.    Visto che non è ancora passato di moda indossare camice stirate, bisogna rassegnarsi. Ma almeno posso tranquillizzarmi pensando che lo farò di notte guardando un film sentimentale.
6.    Anche se i bambini litigano, finchè non scorre il sangue posso ignorarli.
7.    Se per una volta non si mangia verdura, non moriremo tutti per lo scorbuto.
8.    Se il frigo è vuoto, ed è solo mercoledì, vorrà dire che faremo dieta
9.    Quando il Gmarito non ascolta niente di quello che dico, ma finge emettendo suoni disarticolati ad ogni mia pausa, è inutile innervosirsi, posso sempre utilizzare due escamotage. Scrivere un biglietto da attaccare al monitor/pagina del libro/ foglio di giornale. Oppure dire “sono nuda”. Avrò la sua attenzione per almeno due minuti e mezzo.
10.  Se delego alle altre mamme di portare, andare a prendere, accompagnare qualcuno dei miei figli non sono una pessima madre, ma una ottima manager.
11.  E’ stupido chiedersi cosa gli altri-le altre- pensano di me, della mia casa, dei miei figli, dei miei capelli e della mia cellulite. E’ sempre vera la frase: molto sapere, molto affanno.
12.  Quando non trovo una cosa, fracassare tutto quello che si trova sulla mia strada non mi aiuterà. Se la cosa mi serve subito, posso indire due ore di tv/ipad/wii libera, e mettermi a cercarla con metodo (ovvero svuotando ogni contenitore). Se la cosa non mi serve subito, posso farlo nottetempo, quando posso dire parolacce liberamente.
13.  Quando mi sembra di non concludere niente e di essere totalmente inefficacie, fare una torta o dei biscotti può aiutare. A fine giornata, almeno qualcosa avrò combinato. Se dimentico il lievito, è arrivato il momento di uscire di casa per mezz’ora a fare una passeggiata.
14.  Mettere i vestiti nel cassetto non significa che poi devo sclerare per il casino e RISISTEMARE e ORGANIZZARE tutto l’armadio. Gli armadi ordinati esistono solo nei cataloghi ikea.
15.  Se in una giornata ho troppe cose da fare, delegare il più possibile o rimandare le cose che non causano la morte oppure cospicue perdite finanziarie. (O il divorzio)
16.  I vestiti non si danneggiano aspettando di essere stirati. Tutt’alpiù non saranno più congrui alla stagione.
17.  I bambini che non litigano sono di sicuro autistici
18.  Una doccia bollente può sedare l’ansia
19.  Una serata bollente pure
20.  La dieta si può iniziare domani. Molte delle mie amiche hanno perso dieci chili dopo i quarant’anni. C’è sempre tempo. Non è mai troppo tardi.
21.  La colf arriva giovedì. Giovedì. Non è troppo lontano, posso resistere fino a giovedì.
22.  Mettere Elvis a tutto volume aiuta. Perlomeno a sovrastare le urla dei bambini.
23.  Scappare non è mai la soluzione vincente

24.  Domani potrebbe cadere un asteroide, distruggere la mia casa, e allora ma maggior parte delle cose che mi danno ansia sparirebbero, restando solo ciò che conta.

22 maggio 2015

Manuale per il litigio perfetto.

 Come siamo io e il Gmarito? Naturalmente, oltre a piegare ogni tanto le lenzuola, e a stilare lunghe liste dei lavori da fare in casa che, invece di accorciarsi, si allungano ormai dal lontano 2012, conduciamo la nostra vita matrimoniale come tutti: a volte come una corsa ad ostacoli, a volte come in un labirinto in cui ci perdiamo, a volte come nel Paradiso terrestre, a volte come Romeo e Giulietta, a volte come Masha e l’Orso (Provvedere, su youtube, possibilmente in lingua russa, che si avvicina di più alla natura delle nostre dinamiche).
Devo dire che abbiamo la fortuna di viaggiare come la corrente alternata (non so se l’esempio è pertinente perché in campo elettrico sono un disastro, in educazione tecnica ho costruito un solo circuito e la lampadina-che si trovava piantata sulla cartina geografica dell’Italia, in corrispondenza di RomaCapitale, si bruciò appena pigiato il pulsante).
Quando io sono giù di morale e in preda ad ambasce esistenziali, lui è super sorridente e propositivo, quando lui si fa prendere dalle angosce sul cosmo e sulla fine del mondo/esplosione della terra/paura di accertamenti di Equitalia, io sono nella fase donna pratica e casalinga che sforna biscotti e pizze e annusa tutti gli ammorbidenti del supermercato per trovare l’autentica fragranza della lavanda della Provenza. Quando il gmarito decide di dedicarsi al faidate perdendosi a contemplare il reparto di viti e bulloni per 45 minuti, (cosa che di solito succede a me, che subisco il fascino indiscusso derivante da 15 diversi tipi di rondelle e tasselli e dadi e viti di cui non capisco l’esatto uso, ma mi paiono intrinsecamente bellissimi), io invece sono nel trip spirituale e leggo solo libri di poesie. Questo potrebbe portare a feroci dissidi con lancio di piatti, mi rendo conto, e non nego che talvolta succeda, soprattutto quando uno dei due piomba in una situazione letargica per carenza di sonno, e resta ko sul lettone lasciando che la casa cada in mano ai barbari, mentre la controparte vuole andare ad una mostra d’arte con tutti i bambini, che è ora di fargli fare cose culturali.
Ma più spesso, accade che l’uno trascini l’altro reciprocamente in un circolo virtuoso che genera un equilibrio quasi perfetto, a patto che ognuno rinunci almeno un po’ ai suoi trip di natura più meno egotica. Su questo blog non troverete mai i resoconti dei litigi o delle delusioni di carattere sentimentale, è ovvio.
Se non –in alcuni casi- quando già digeriti, pacificati, e riletti nella veste rasserenata e a volte ironica di una difficoltà superata, che in seguito che ha resi più vicini.
Ripenso ai miei nonni materni, che si punzecchiavano in continuazione, alla modalità ormai affettuosa e leggera e velata di ironia con cui litigavano, come se fosse qualcosa che rimaneva comunque sullo sfondo, senza mai un offesa, una parolaccia, una parola o un gesto che potesse provocare una vera ferita da ricucire, come se litigassero già con la prospettiva della pace fatta. Anni e anni di allenamento.
Se fossero ancora qui, mi farei scrivere un manuale.
(Da non sottovalutare, la presunta sordità del nonno C.A. E la colazione a base di focaccia e grappa della nonna Anny)
Siparietto tipo uno
-C.a. dammi una di quelle mele, che diventan vecchie. Ecco, lo sapevo, son cattive, vero? Non le compro più da quel verduraio.-
-Eh? Cosa hai detto anni? Non sento il telegiornale.-
-No, niente C.A., niente guarda il tuo telegiornale.-
-Sì, comunque, Anny, son buonissime queste mele. Comprale ancora, dov’è che le hai prese?.-
Siparietto tipo due
-Ah, mi ha chiamato La Claudia Gatti, poverina, sai cosa le è successo?-
-Cos’è che dici, Anny?- (leggendo il giornale)
-La Claudia Gatti. Mi ha chiamato. Poverina.-
-La Flavia?-
-No, la Claudia. CLAUDIA. CLAUDIA GATTI-
-E chi è? Non la conosco mica-
-Ma la cugina della cognata dell’Aurelia, C.A.!-
-Non la conosco, Anny, non la conosco.-
-Vabè, C.A.-
(pausa, concentrazione sul giornale)

-Anny, amore, sai cosa? E’ un sacco di tempo che non chiami la Claudia Gatti. Chissà come sta. Chiamala, stasera-

Cyclofelicità

Ho scoperto che nella ridente cittadina in cui la gfamily prospera, esiste un luogo chiamato ciclofficina popolare. Il nome già mi riporta a qualcosa d’antan, un po’ come nuovo cinema paradiso, non so. Mi suscita immagini alla Rockwell (e se non sapete chi è, provvedete, vi darò una mano pubblicando una sua opera), gelaterie anni ’50, la graziella rosa che avevo in campagna, vestiti a ruota, e merende a base di pane e marmellata. Sembra che non c’entri niente, ma il mio cervello funziona così, mi dicono si chiami brain storming. O comunque è una di quelle terapie che si fanno coi pazzi.
In ogni caso, cos’è la ciclofficina popolare?
E’ prima di tutto un ‘idea.
Quella di avere un luogo in cui potere riparare la propria bicicletta, utilizzando risorse e materiali e attrezzature condivise e condivisibili, un luogo dove imparare cos’è una camera d’aria e a ripararla, e a fare altre cose che non so, in quanto la mia capacità di manutenzione della bici si riduce a gonfiare le gomme, e rimetter su la catena quando scende (e questa è la mia massima performance tecnica). Ovviamente la ciclofficina è più di tutto questo. Il ragazzo che l’ha fatta nascere, ha ideato un luogo in cui le bici risorgono, è un po’ come un Don Mazzi delle biciclette.
Lui recupera vecchi inutili rottami abbandonati, che per tutti sono da discarica, li guarda e vede altro. Vede una potenzialità, vede l’anima della bicicletta e le dà una seconda chance. La porta nell’ officina, la smonta, la cura, la scrosta,  la ripara, sostituisce i pezzi senza speranza, la dipinge, la restaura. Si accettano anche donazioni e baratti.
E’ così che ho portato a riparare la biciclettina, già riciclata, di Catwoman, e mi sono portata a casa una bici di taglia più grande e più adatta a lei, un modello che io chiamo modello E.T., lasciando un rimborso spese per la sostituzione della camera d’aria.
Nel frattempo forse qualche altro bambino di taglia inferiore si porterà a casa la bici più piccola.

La ciclofficina organizza anche corsi, accetta qualsiasi forma di collaborazione, nell’ottica della condivisioni delle competenze, del riuso, della creatività, del recupero della manualità e della relativizzazione del consumo coatto. Ciò che mi ha fatto innamorare di questa idea, non è tanto l’occasione per risparmiare, ma soprattutto la rivalutazione della gratuità. Perché oggi, ciò che non costa niente in termini economici, sembra non avere alcun valore. Quando invece dovrebbe essere chiaro che il tempo che si dedica a qualcuno o qualcosa-che è la vita- è la misura di ogni cosa.





14 maggio 2015

microcosmo con carpe

Esiste un posto che sembra un parco, ma invece è un microcosmo utopistico.
E’ un parco. Con scivoli, alberi, un piccolo stagno con dei pesci rossi e delle carpe grosse come tonni (un po’ transgeniche a forza di mangiare merendine all’olio di Palma dei bambini). C’è la casetta dei bimbi, molti fiori profumati, cespugli, piante, un ponticello tibetano, una permanente piccola colonia di gatti perennemente in calore, c’è un piccolo “zoo” con animali da compagnia, pony, pavoni, voliere con pappagallini, papere, in recinti puliti ed estetici, che sembrano le illustrazioni del libro per bambini “nella vecchia fattoria”. Il parco è aperto a tutti ma è all’interno di una struttura, i bambini entrano, ma non possono scappare via da nessun cancello aperto. Nel parco, c’è una tettoia con un palcoscenico. C’è un bagno pulito. C’è un piccolo chiosco che vende dannosi zuccheri sotto varie forme, gelati e caffè. C’è anche un bar. E, a circondare il tutto, ci sono tante porte e finestre con sui davanzali piccoli vasetti di fiori. E in queste mini abitazioni organizzate in un mini condominio, abitano i vecchietti del Melo. Capitano cose che si pensano possibili solo in un piccolo paese degli anni ’50, oppure nel cartone di Heidy. Una bambina (nella fattispecie Catwoman) cade in bicicletta, sfiorando lo spigolo della fioriera si pietra con le meningi, ed una nonnina 95enne che passeggia per il mini vialetto davanti al suo alloggio, (dopo avere resentato il collasso coronarico), la soccorre e le offre due cioccolatini. Capita che a volte uno dei Fantastici 4 si soffermi nel salone adiacente al bar, dove i nonnini cantano “ O mia bela Madunina” battendo le mani, o altre canzoni anteguerra che parlano di amori perduti. Capita di incontrare vecchietti in carrozzina, che non parlano più e stanno con la bocca aperta, tornati bambini, che si fermano a guardare la vita, ovvero la marmaglia di bambini che ride, corre e urla davanti ai loro occhi. Capita che-così come dovrebbe essere- vecchi e bambini vivano assieme e condividano gli stessi spazi. Non solo vecchietti efficienti e pimpanti ancora in grado di svolgere una funzione ritenuta utile per questa società, come i supernonni tuttofare che siamo abituati a vedere nei parchi. Qui si parla degli ultimi. Di persone che- con la scusa della necessità di una assistenza- vengono di solito tenute nascoste, o separate, persone a volte dall’aspetto sgradevole, persone che suscitano domande (Wonderwoman che chiede col suo tono di voce: Mamma ma quel nonnino lì sta per morire,vero?). E’ un micromondo ideale, che mi commuove, un micromondo in cui sono coltivati i valori per una società che ci rende più umani, in cui la debolezza e la vecchiezza (neologismo di mio conio) non sono una vergogna, ma solo un diverso aspetto dell’esistenza, un mondo in cui l’uomo è pienamente uomo,  indipendentemente da ciò che sa fare, dal suo aspetto fisico, dal dolore. Un mondo in cui forse l’eutanasia non verrebbe presa mai in considerazione, né come diritto, né come soluzione.

Un mondo in cui si impara ad amare e ad essere amati in maniera autentica.

13 maggio 2015

cose che sanno fare (e tu no)

Perchè le mamme pensano (erroneamente) che i loro figli siano sempre dei geni? O dei bambini straordinari? Fuori dal comune? Di una sensibilità incredibile? Speciali?
Questa sarà uno dei migliaia di errori fatali che ci verrà imputato.
Notoriamente, il pensare che i propri rampolli siano persone incredibilmente in gamba, e agire di conseguenza, li renderà degli sfigati. Gay repressi. O bamboccioni.

Ecco il perchè.
Quando nascono sono animaletti che dipendono da noi mamme.
Il fatto che non ci rassegniamo che possano crescere, ci fa credere che, quando faranno "uno" col pollice alla domanda quanti anni hai? siano dei geni della matematica e quindi saranno certamente destinati a fare gli astrofisici e inventare il teletrasporto.
I primi passi sono un miracolo della natura, quasi che  l'evoluzione dell'homo erectus sia un' invenzione di nostro figlio.
Se prende in mano un libro, è un intellettuale, forse bisognerà fargli saltare la prima per andare direttamente in terza.
Questo perchè l'altro ieri sapeva solo ciucciare una tetta, ed oggi, il mio bambino, è un essere straordinario in quanto sa soffiarsi il naso a soli due anni.

Poi arriva il momento in cui cominciano a fare delle cose che noi (mamme) non sappiamo fare.
La prima volta  stato quando ha iniziato a fare le divisioni in colonna.
Ha provato pure, a insegnarmele, ma giuro che noi a scuola mica le facevamo così, mettono tutti  numeri dalla parte sbagliata della riga.
Poi sono arrivate tutte le province della Campania.
Suonare il flauto e leggere le note (quelle sono sempre le stesse, lo ammetto).
Sapere recitare.
Fare i trucchi di magia e mescolare le carte come i prestigiatori.
Fare la ruota.
Saltare la corda per un'ora intera.
Salire su un albero.
Sciare.

Se fino a quel momento noi eravamo la misura di tutte le cose, poi smettiamo di esserlo, lentamente, ( e grazie al cielo, anche).
Però è strano. Strano vedere Megamind sul palco del saggio di musica che suona l'inno alla gioia.
Strano vedere WonderWoman che mi spiega come connettere il suo tablet al WiFi di casa.
Strano che abbia delle competenze che tu non hai (o non hai più), su cui non c'è più nè il tuo controllo nè la tua garanzia, nè la tua impronta.
Strano chiedergli di ricordarti in quale Regione si trova Taranto (vabbè lo sapete la mia idiosincresia per la Geografia, non fa testo).
Meno male che con Catwoman le tabelline riesco ancora a ripassarle.

Qui siamo in fase di nuove autonomie, Megamind, che qualche anno fa disegnava le persone facendo quadrati e rettangoli come Klee (ma senza intenti artistici) ora disegna cavalli e volti bene quasi quanto me.
Ha imparato a giocare a poker (solo per fare tutte quegli equilibrismi col mazzo di carte), va a scuola in bici da solo.

E insomma, le cose che possiamo insegnargli noi, sono sempre meno.
Dobbiamo limitarci ad essere di esempio.

(A Macchiavelli vinco ancora io però)





5 maggio 2015

il paradiso è romagnolo

Niente canti celestiali, luce infinita, schiere di angeli.
Io ora lo so com'è il paradiso.
Per arrivarci passi dal purgatorio della tangenziale ovest di milano e dal girone infernale del bivio tra Autosole e l'Adriatica.
Ma poi, sei arrivato.
A Bagno di Romagna.
Nota località termale in mezzo a dolci colline.
Una vacanza per tutti e sei, perchè altrimenti, che paradiso sarebbe? (beh, ovviamente camere separate, altrimenti, che paradiso sarebbe?)
Il paradiso ha una piscina con acqua che sgorga naturalmente ad una temperatura di 45°, ovvero la mia temperatura ideale, che-dunque-in natura esiste.
Un specie di brodo primordiale in cui rinascere.
La puzza di uovo marcio si supera senza difficoltà.
Qui, in questo paradisiaco hotel romagnolo, avvolti in accappatoi candidi come vesti angeliche, si passa il tempo a decidere se uscire dall'acqua per pranzare al turno delle 12.15, o quello delle 13,15. Se non fosse per il menù ad alto tasso romagnolo, distribuito su lunghissimi banconi selfservice, dall'acqua non usciresti mai.
Cascatelle, idromassaggi, getti tonificanti, ti riportano al ricordo della vita intrauterina. I Fantastici sono pressochè disattivati dall'effetto amniotico dell'acqua, giocano tra loro, non riescono nemmeno ad affogarsi, e forse questo per l'aria mistica che aleggia. Pure SuperMario, una volta introdotto nel suo salvagente, permette un rilassamento quasi totale.
Alle 11.00 un bel manzo romagnolo si piazza a bordo piscina per l'acquagym. Pardon, la zumba.
Tutti ballano, davvero tutti. Se vi dico che si  mosso a tempo di musica perfino il Gmarito, capite il l'aura miracolosa che impermea l'aria.
L'Hotel, oltre a pasti ipercalorici, offre intrattenimento serale, con serate danzanti, il lissssio per coppie non più troppo ggiovani (che però c'hanno un fisico pazzesco perchè so che se facessi un mezzo casquet di quelli, mi verrebbe un ernia al disco fulminante), balli dello zecchino d'oro,  disco music. C'è la saletta relax in cui i marmocchi non possono entrare e ci si abbiocca su divanetti orientaleggianti bevendo tisana, c'è il centro estetico e massaggi (la prossima volta ti lascio fare un massaggio, Gmarito. Quando si libera quella massaggiatrice di 120 kg ultra cinquantenne). C'è una sala giochi a cui si accede da un tronco cavo molto suggestivo, dal quale gli adulti sovrappeso non riescono a passare.
In paradiso, la colazione è ricchissima e infinita. Le macchinette del caffè servono caffè e non orzo mascherato da caffè, le brioche sono calde e c'è il pane nero tedesco, i salumi, i biscotti, due tipo di torte, le ciambelline, la nutella, pane, miele, yogurt, cereali, che vorrei potere avere tre stomaci per potere assaggiare tutto.
L'accento romagnolo completa la perfezione.
E le liquerizie del bar.




4 maggio 2015

videocamere di sorveglianza

Ricordo quando MegaMind è andato alla scuola materna.
Lui piangeva come un disperato, ha pianto per mesi.
Ma non è questo che voglio ricordare. Che se ci penso sto ancora male mammescamente.
Ricordo che quello che più mi lasciava sconcertata non era tanto il distacco da lui, ma il fatto che da quel momento faceva esperienze che non non avrei condiviso.
Fino a quel momento ogni sua scoperta, capriccio, conquista, pianto, persino ogni cacca, nelle sue varie consistenze, era qualcosa cui io partecipavo.
(Volente o nolente)
Io guardavo il mondo coi suoi occhi, e lui con i miei. Io davo il nome alle cose, io le rendevo belle per lui, io creavo la sua realtà.
Poi, grazie a Dio, viene il distacco. La distanza. Il figlio diviene se stesso, vivendo esperienze non mediate dalla madre.
All'inizio è liberatorio ma anche angosciante.
Perchè non hai più il controllo. Perchè ti sfugge, perchè ti tendi conto che è un estraneo.
E Megamind, come il gmarito, era un ostrica, e continua ad esserlo. (Quando trovo la perla, ve lo dico)
E io appena vedo che qualcosa lo turba, prenderei un crick e gli aprirei la bocca estraendo il rospo, ricorrendo pure a biechi ricatti. Ovviamente non è una tattica vincente, e il fatto che io non l'abbia ancora appreso in 10 anni di matrimonio, mostra quanto l'angoscia mi soverchi talmente tanto da riuscire a farmi mandare a quel paese in tre lingue.
Col gmarito non  imparerò mai, invece con Megamind sto facendo dei progressi, e di riflesso pure con gli altri Fantastici. Non ho più bisogno di conoscere ogni dettaglio della loro giornata, di arginare i loro sentimenti, e questo-sorpresa!- fa bene a entrambi.
Se non detestassi la parola privacy, potrei usarla, ma, oltre ad essere ormai tanto logora quasi quanto la parola amore, non centra il bersaglio.
Non è questione di privacy, ma di distanze. Di libertà. Di responsabilità.
A me è costato molto capire tutto questo, cioè capirlo non con la ragione, ma con la pancia.
E mi sono resa conto che non è un atteggiamento molto diffuso.

CatWoman è partita per la gita allo zoo. Cioè non è uno zoo, è un safari park, che zoo si diceva fino agli anni '90.

In ogni caso l'ho portata all'appuntamento davanti alla scuola all'alba, ovvero alle 7.00, e sono rimasta finchè non è partito il pullman solo perchè il mio orario di lavoro parte dalle 8.00 ed ho aspettato altre mamme per bermi un caffè con loro e farmi 4 chiacchere. Le quali madri, non si sono mosse dal marciapiede finchè non hanno visto passare l'autobus col loro pargoletto, dispiacendosi perchè era seduto sull'altro lato e quindi per non avere visto che faceva ciao con la manina, cosa che non avrebbe fatto comunque perchè si stava già menando col bambino di dietro.

Dopodichè sul gruppo delle mamme di wats'up della relativa classe c'è stata una cronaca minuto per minuto del viaggio, da parte di una mamma infiltrata alla gita.
Venivo informata che che:
un bambino ha vomitato.  Stanno guardando un film. L'altro pullman si è rotto e aspetta mezzo sostitutivo. Stanno per arrivare. Sono arrivati, il tempo è nuvolo,no, aspetta, sta uscendo il sole, guardano il rinoceronte (foto), si fermano per una pausa, 50 foto in sequenza di animali dietro uno schieramento di zainetti, il tempo sembra peggiorare, forse piove, si mettono i k-way, ma per fortuna c'è il laboratorio, momento del pranzo e dei souvenir. Stanno salendo sul pullman per tornare. Mettono su un altro film (sono finiti i tempi in cui si cantava Romagna mia. Nemmeno O mia bella Madunina, poi ci sono i musulmani, sarebbe indecoroso, rimbambiamoli con la tv) Il viaggio va bene, non c'è traffico, forse arrivano in anticipo, ecco, sono arrivati a scuola, sono le 15.15.
Tra un messaggio e l'altro infiniti commenti di giubilo delle mamme, tutte felicissime avere un occhio (anzi due) nella vita dei figli, di sapere se si sono messi la felpa, se hanno preso la pioggia ( che pare essere una specie di tragedia, nonostante i bambini siano stati equipaggiati come degli sherpa). Felici di partecipare anche se non ci sono.
E di controllare. Di filtrare.
Di vivere, in definitiva, la vita dei figli.

Non voglio sembrare troppo severa, ma forse dovrebbero scoprire quanto possa essere liberatorio, per i figli -ma anche per loro stesse-, cominciare a mettere delle distanze, concedere i figli uno spazio riservato, in cui poter fare degli sbagli, mettersi i pantaloni della tuta al contrario, usare il kway come mantello di batman, spappolare la banana in fondo allo zaino, avere dei segreti.

Perchè poi accede che gli si compra il cellulare a dieci anni, fingendo che serva garantire maggior sicurezza per quando vanno a scuola da soli, ma in realtà lo usano per leggere di nascosto i messaggini su wat's up, spiare il loro profilo facebook e scoprire se la ragazza a cui fanno il filo è abbastanza carina. E non extracomunitaria.