28 luglio 2017

Hospital SPA

Dalla sezione: risparmio e fai da te: come trasformare un ricovero ospedaliero in una vacanza gratis  (cura del sonno, dieta disintossicante, acquisizione dei ritmi della natura)

Può capitare, nella vita, che senza preavviso ci si trovi ricoverati in ospedale per qualche giorno.
Parti a parte (da notare l’elegante allitterazione) a me è successo quando ho rotto la gamba.

Come essere sempre pronti:
• ricorda che i ricoveri sono spesso improvvisi. Questo è il motivo principale per cui dovresti sempre indossare un completo intimo coordinato, evitare mutandoni contenitivi color carne, calze bucate, e depilarti pure d’inverno. Ricorda: ormai gli infermieri sono quasi tutti uomini e non potrai contare sulla solidarietà femminile quando spunterà fuori il tuo polpaccetto che pare quello di un cinghiale.
• Dovresti tenerti pronta mettendo in fondo all’armadio “la valigia della sfiga”. Una sacca con dentro un paio di pigiami decenti, biancheria, un beautycase e delle ciabatte (nessuno pensa mai alle ciabatte) Perché? Prova a visualizzare la scena di te che- in preda a probabili dolori- chiedi al marito di andare a casa a prenderti due mutande e un pigiama. Lui non avrà l'ardire di chiederti dove sta la biancheria. Se sei fortunata tornerà con un baby doll, delle calze tubolari, una felpa della tuta e i mutandoni della nonna.
 N.B. in assenza di pigiama provvederà l’ospedale con una specie di camice inamidato e rigido, che per ragioni oscure è aperto dietro, tu naturalmente sarai ignuda in quanto il marito sarà stato in grado di portarti da casa soltanto due gambaletti rosa carne e una scatola di biscotti, cosicchè sarai costretta a girare con il tuo lato B all’aria per i corridoi dell’ospedale.
• Nella valigia metti dello shampoo secco. Perché non c’è niente che provochi più disagio del capello unto in ospedale. Se non lo farai ti troverai a barattare la sacca di morfina in cambio di un campioncino di bagnodoccia.


Ed ora veniamo alla vita da ospedale.
Una volta avuto il letto, e passato il momento peggiore (e con una buona dose di droga in vena), ecco come trasformare la giornata tipo da degente in un soggiorno gratis d completo relax.
La sveglia.
Svegliarsi alle prime luci dell'alba e seguire i salutari ritmi della natura.
In ospedale la prima sveglia è verso le 5, quando si viene improvvisamente destati di soprassalto da un qualche rumore assordante che ha un che di catastrofico, da un punto imprecisato dell'irraggiungibile corridoio. Tipo come se cadessero per terra 10 batterie di pentole in acciaio inox.
Niente, è l'inserviente che sistema i vassoi. Oppure un fragore simile ad un incidente frontale tra due autotreni. Credi sia precipitato un ascensore, invece è l'infermiere che non ha centrato la porta con la barella. Altrimenti delle grida concitate che fendono il silenzio ovattato: -Mariaaaaaaaa, va che qui è finito il disinfettanteeeeeee.- Da un reparto all'altro. Tutte le mattine.
Poi arriva la sveglia ufficiale, ovvero l'infermiera che ti prova la febbre. Alle 6. Poi alle 7 arriva l'altra infermiera che ti buca un braccio mentre sei semicosciente.


La prima colazione
Mai saltare la prima colazione, che sarà sana, leggera e soprattutto, servita in camera, a letto.

Mentre senti tutto l'ospedale che si risveglia operoso come un'alveare, giunge la colazione, alle 8. A te sembra già metà mattina. Una salutare fetta biscottata, il tè, il miele. Meglio evitare il cappuccino che sa di terra bruciata, così fai anche una cura detox.

La mattinata e il checkup gratuito
La mattinata è di completo relax. Devi scegliere tra leggere riviste gossip con personaggi di cui ignoravi l'esistenza, chattare, cazzeggiare su internet, leggere il libro sui gulag che hai lasciato a metà, o appisolarti. Finchè non arriva il diversivo del dottore che passa in visita, guarda la tua cartella e fa due convenevoli e ti dice il risultato delle analisi del sangue.


Un pranzo leggero e dietetico.
Ad un certo punto cominci a sentire effluvi di purè, anche se il purè non è previsto dal menù, è un odore standard. Capisci che sono circa le 11. Mangerai comodamente seduta a letto, oppure seduta al tavolino dell'ospedale, guardando la tv.
Il menù consigliato è pollo, verdure, mela cotta. Il purè è liquido. Riempie, è poco calorico, aiuta per la stitichezza. Un toccasana. Perderai facilmente 300 gr al giorno.


Il riposino di bellezza
Il miglio antirughe è il sonno.
Dopo pranzo arriverà l'abbiocco consueto, ma stavolta non dovrai ricorrere ad alcun caffè, potrai tranquillamente lasciarti scivolare in un sonno senza sogni.


La merenda
A volte tornare bambini è la migliore cura per l'umore.E' dall'età di 10 anni che non fai la merenda, ora sarai legittimata a mangiare tutti i biscotti cioccolatosi e semisciolti nella calura tropicale del reparto, che ti avranno portato amici e parenti. Che sennò si offendono.


Pomeriggio tra relax e cure alternative
Risposo e ritorno alle origini con le cure alternative dei nostri avi, tramite un salasso effettuato con i moderni ed igienici metodi di oggi.Il pomeriggio scorrerà tranquillo. Ad un certo punto tornerà l'infermiera per il prelievo di sangue, tra l'altro indolore, visto che ti avranno montato una sorta di rubinetto nel braccio. Potrai ancora una volta leggere, magari deambulare un pò nel corridoio e sbirciare nelle altre camere, guardare qualche serie in streaming sul tablet (nota per te: dopo le mutande e il dentifricio il marito dovrà procurarti tablet e connessione internet adeguata).


Cena light, e coprifuoco
I ritmi contadini che seguono madre natura saranno un toccasana per corpo e spirito.

Verso le 18 il reparto si prepara per la notte. La cena viene servita a quell'ora, è consigliabile brodino e formaggino. Un'accoppiata vincente per bilanciare i coockies del pomeriggio.
Alle 20 viene dichiarato il coprifuoco. Le luci abbassate, i parenti cacciati via, il personale si dirada. Si parla sottovoce.
Passa l'infermiera a vedere se è tutto ok e ti rimbocca le coperte.
L'unico pensiero che avrai per l'indomani sarà scegliere nel menù del giorno dopo, tra il filetto di nasello e la fesa di tacchino.
Puoi tranquillamente leggere un libro noiosissimo fino a tarda notte (ovvero le 22), finchè non cadrai addormentata, per una volta, senza doveri, appuntamenti e scadenze per l'indomani mattina.


Il lasso di tempo perfetto per recuperare energie positive e riequilibrare l'aura, prima di cadere nella completa inedia, è stimato intorno a 5/6 gg, a seconda dello stato di prostrazione profonda col quale sei giunto all'ospedale.
Quando uscirai, magari con una o due cicatrici in più, avrai all'attivo molte ore di sonno, una leggera dipendenza alla morfina che svanirà progressivamente, un metabolismo che si è riappropriato dei ritmi animali e dunque sani, e assolutamente nessun senso di colpa.

E tutto questo gratis. Ovvero. Finalmente sarai felice di avere pagato le tasse per qualcosa di cui hai finalmente usufruito.

24 luglio 2017

Eschilo, sofocle e l'Oracolo del Box doccia


In fondo Eschilo ci aveva avvertito. Nell’Agamennone lo dice chiaramente.

Pathei Mathos: conoscenza e sofferenza sono intrinsecamente legate. Pure Sofocle ha insistito su questo punto: Edipo è troppo ignaro per essere ritenuto del tutto colpevole. La conoscenza non può che generare sofferenza e colpa.

E viceversa.

Giusto per non farci mancare nulla.

Voler sapere, scostare il velo: è qui che si mette in moto tutta la tragedia greca.

Dovevo tenerlo a mente, attingendo alla mia cultura classica che mi sarebbe tornata utile (non solo per capire gli effetti delle medicine attraverso l’etimologia del loro nome commerciale).

Dovevo tenerlo a mente, quando- haimè - ho deciso di consultare l’Oracolo delfico delle casalinghe on line sottoforma di gruppo Facebook “ donne e casa fai da te”.

Invece no, la mia Hybris, la mia presunzione di poter essere all’altezza della Dea delle Casalinghe, mi ha punito.

Così, ho fatto un quesito, ho consultato la Sfinge.

Il mio box doccia ha delle gocce di calcare che non se ne vanno nemmeno col Viakal. Avete un rimedio efficacie per farlo tornare come prima?”

Nella mia ingenuità ho creduto che mi avrebbero dato uno di quei segreti della nonna che tutti conoscono tranne me.

Invece no. Dopo due ore c’erano 154 risposte al post.

Ho scoperto che il box doccia, va pulito giornalmente.

Appena terminata la doccia, quando ancora sei dentro, dovresti già spruzzare sui vetri questo detersivo che ha un’azione corrosiva tale da essere probabilmente quello usato dalla mafia per sciogliere i cadaveri. Tutto questo in apnea, per non inalarlo. Poi, sempre nuda, imprigionata dentro la doccia con esalazioni mortali, contare fino a 150 e sciacquare abbondantemente. Dopodichè, usare un TERGIVETRO, ovvero quegli aggeggi che usano i benzinai o gli extracomunitari per pulirti il vetro della macchina, ed eliminare tutte le gocce, foriere di calcare.  A questo punto puoi ASCIUGARE con apposito panno in microfibra. Finalmente, dopo avere fatto un areosol di acidi, puoi uscire dalla doccia- pulitissima- e metterti l’accappatoio.

Naturalmente la casalinga modello obbliga -con una postilla oculatamente apposta nel contratto prematrimoniale- il marito a fare altrettanto ogni volta che fa la doccia, pena la sospensione dei doveri coniugali. In secondo ordine, tutto ciò viene tramandato ai figli, i quali sono dispensati dall’uso di sostanze chimiche, ma devono fare uso di tergivetro e straccetto. Competenza che, tra l’altro potrebbe tornare utile in futuro.

Sembra che questa sia una prassi assolutamente condivisa dalla totalità delle donne che possiedono un box doccia.

Ora io sono rimasta umile, ho obiettato sul gruppo che questa prassi è per me assai difficile in quanto ho 4 figli. Insomma, ho usato la solita scusa, per invocare l’impunità e conoscere qualche trucchetto magico, un deus ex machina che mi risolva la questione: che so, tipo uno di quegli intrugli casalinghi con bicarbonato, aceto, limone, sale, zenzero, perossido di azoto e nitroglicerina.

Invece mi hanno risposto che l’alternativa è cambiare il box doccia.

Adesso forse ho capito perché in Italia non si fanno più figli e non ci si sposa.

Ma, visto che sono diligente, e non posso fingere di non sapere, ho accettato il mio destino. La mia punizione catartica.

Sì. Ho comprato un tergivetro (che si chiama anche tira-acqua), un panno in microfibra, e ho edotto i figli. Il marito, quando ha visto l’attrezzo del benzinaio appeso all’interno della doccia, ha commentato con una grassa risata. Ora ride ogni volta che entra in bagno.

Questo è l’epilogo, l’acmè della mia personale tragedia. Dissipata l’ignoranza, si è resa nota la colpa: sono una pessima casalinga. Fare la doccia non sarà più la stessa cosa.
 

21 luglio 2017

poesia


La stele di Rosetta
 
 
Non lo senti?

Non lo senti,

sotto la cantilena del traffico

ed il passare del treno che sfuma

all’orizzonte assolato di pomeriggi estivi?

Ascolta.

Sotto il vociare notturno della città

Nei condomini e dietro alle finestre

O più lontano

Sotto al tremare sonoro dei grilli,

non lo senti, dietro al silenzio bugiardo dell’ombra?

Non senti?

Incessante, bisbiglia

Come l’acqua dentro al pozzo:

tendi l’orecchio

tacitando il pulsare del cuore nelle vene.

Devi pescare dal fondo, almeno una parola.

Non senti,

sottotraccia sussurrato

quel segreto più antico

la ninna nanna sepolta?

Tutto attorno la voce non tace.

E’ terribile

al suono di parole prive d’alfabeto

e nessuna Stele di Rosetta

non sapere se vivere o morire.
 

18 luglio 2017

illusore di casalinghe

Quando Asimov ha scritto il suo Ciclo della Fondazione, arrivati a questo punto, ovvero nel 2017, si immaginava che le nostre fatiche quotidiane sarebbero state sollevate da robot umanoidi e che il cui unico problema per noi sarebbe stato quello di evitare che si allentasse un qualche bullone del loro cyber cervello e continuassero a rispettare le tre leggi della Robotica, evitando di uccidere il loro stesso creatore.
Dunque, secondo i miei calcoli, è dagli anni ’40 che le casalinghe hanno cominciato ad invidiare le donne che avrebbero vissuto negli anni post 2000.
S’immaginavano che le casalinghe (impossibile immaginare un mondo senza casalinghe) distese al sole o sedute dal parrucchiere a farsi la permanente (impossibile- soprattutto-immaginare un mondo senza permanente) mentre un robot, felicemente schiavo delle tre leggi della robotica- stira le camicie del marito, sforna arrosti e usando affusolate dita metalliche decora con piccole olive e carote tagliate a rondelle aragoste in bellavista per gli ospiti a cena.
E invece no. Vorrei dire alle casalinghe di allora che noi non abbiamo inventato robot. Al massimo il Roomba pulisci pavimento rotondo, che non arriva negli angoli.
Oppure il Bimbi, che- magari se va in corto circuito non tenta di assassinare la tua famiglia con un cucchiaino- ma in ogni caso non è abbastanza intelligente per prendersi da solo gli ingredienti dal frigo e nemmeno superare la crisi di creatività per la cena.


Noi abbiamo inventato internet. Un sistema che non soggiace purtroppo a nessuna legge intelligente, in quanto trattasi di una grande coscienza collettiva, una sorta di brodo primordiale della cultura che contiene allo stesso tempo tutte le potenzialità della creazione e quelle dell’auto distruzione.
Qualcosa di più di una realtà virtuale, una mente in prestito, in cui ognuno può scegliere la verità che più gli fa comodo, e crearsi il proprio mondo fenomenico (ed eventualmente trascendente) privato.
Cioè, in due parole, care casalinghe sottomesse degli anni ’40, noi quando mettiamo il rossetto non ci guardiamo in uno specchio da borsetta. Noi ci facciamo direttamente un selfie e lo postiamo, capiremo dai commenti se il rosa fluo ci dona o meno.
Noi, per millantare una certa cultura di base, andiamo su Wikipedia e scarichiamo i trafiletti in neretto di Dostoevskij che-per esperienza-dovrebbero essere i più salienti.
Sempre che non citiamo Fabio Volo.
Noi, care casalinghe, oltre a non essere più solo forzatamente casalinghe ma anche lavoratrici, non invitiamo le amiche a casa per un tè, ma apriamo l’ennesima chat senza volti. Forse l’unico risvolto positivo è il minore apporto calorico.
Niente robot che ci fanno i massaggi, o passano la cera, al massimo abbiamo creato una pseudo intelligenza artificiale alquanto inquietante: l’assistente sullo smartphone, Siri.
Una voce femminile -siamo nel 2017 ma la segretaria deve essere necessariamente femmina- (però se hai altri gusti puoi scegliere voci profonde testosteroniche oppure con un timbro più stile Farinelli) che interagisce e ricorda i tuoi appuntamenti o il giorno del ciclo.
Le mie figlie sono affascinate da Siri. Le parlano e le rivolgono domande esistenziali:
sei viva?
Esisti davvero?
Hai mai ucciso qualcuno?
Dove sei?
Sei felice?

Care casalinghe degli anni ’40, non vi siete perse niente. Internet (come il Duce) ha fatto anche cose buone:
Le ricette da guardare sul tablet appoggiato sul ripiano della cucina
il navigatore per disorientate (esistenziali e geografiche) come me.
Amazon (questo vi sarebbe piaciuto un sacco)
I film in streaming.

Ma svettano comunque dalle ceste alte montagne di biancheria da stirare.

14 luglio 2017

e pensavi che il problema sarebbero state le coliche


Quella volta che sono tornata a casa e Megamind non c’era. Che il suo cellulare era spento. Che il mio cellulare non si accendeva più perché stuprato troppe volte da cavetti caricabatterie cinesi. Che quel giorno lui e il suo amico M. dovevano tornare assieme per il pranzo e infatti il giorno prima avevo appunto preparato il risotto al pesce da riscaldare (che giaceva lugubre nel frigo). Che per la disperazione sono riuscita ad accendere un vecchio telefono con il tuchscreen rotto per tentare di recuperare il numero di cellulare dell’amico, ma funzionando soltanto il quadrante destro dello schermo tuch, riuscivo solo a cliccare l’icona del calendario del ciclo mestruale. Che non sapevo come contattare la madre di M. per chiedergli come era vestito suo figlio per chiamare la polizia e fare una descrizione degli scomparsi. Che ho chiamato il Gmarito per esaurire la carica isterica perché avevo bisogno di insultare qualcuno prima di chiamare CSI persone scomparse. Che mentre stavo per uscire a cercare i due dispersi in auto, i due adolescenti sono entrati in casa con la chitarra in mano, chiacchierando amabilmente e si sono immobilizzati vedendo davanti a loro una quarantenne scarmigliata che li guardava a bocca aperta mentre nel suo cervello incrociava i dati disponibili: chitarra-venerdì-16.30. Cioè, come tutti i venerdì che Dio manda in terra da almeno sei mesi, i ragazzi tornano alle 16.30 perché hanno il rientro di chitarra.
-che c’è mamma?-
-oh,niente. Ho solo due rughe in più e una ciocca di capelli bianchi-

Quella volta che dal lavoro ho chiamato casa per sincerarmi che Megamind- a casa da scuola- stesse bene, e dopo ore che il telefono di casa suonava a vuoto e il cellulare era spento, mi sono precipitata a casa col cuore in gola, per scoprire che semplicemente era saltata la luce, ma lui stava facendo la tavola di arte e dunque non si era sovvenuto di nulla.

Quella volta che -sempre Megamind- doveva raggiungermi al lavoro alle ore 2,00 p.m. per mangiare assieme, ma alle 2,35 ancora non si era palesato ed io dopo averlo chiamato sul cellulare (ovviamente) spento, l’ho trovato a casa che si stava mettendo su l’acqua per la pasta.

Quella volta che WonderWoman all’uscita da scuola ha semplicemente deciso di andare a casa con di una sua compagna senza avvertire nessuno, tantomeno la babysitter che naturalmente mi ha chiamato nel panico dicendo che la bambina era sparita.

Quella volta che CatWoman è andata in gita e il pulmann non tornava, la connessione internet non funzionava, le maestre presenti non inviavano messaggi, e il destino di 26 bambini era scomparso dai radar della chat di classe da quasi un’ora.

Quella notte che SuperMario era in preda agli incubi e vedeva ragni giganti ovunque nonostante sembrasse sveglio, e che ho pensato fosse un danno cerebrale permanente.

Quella volta che Megamind ha avuto la polmonite, che Catwoman stava per andare in setticemia e aveva anche la scarlattina e l’hanno ricoverata, che WonderWoman è stata male per settimane e si è scoperto che aveva la mononucleosi.

Quella volta che siamo andati in bicicletta tutti assieme in mezzo al traffico e io chiudevo la fila e dicevo avemarie ogni volta che una macchina ci sorpassava stando troppo vicina, che basta che un bambino sbandi un attimo e me lo tiran sotto.

Da quando nascono, si vive nella grande paura.
 
 

12 luglio 2017

lettera (tramite un noto espediente letterario retorico) a quella stronza dell'Estate


Cara Estate,

credevo che fossi amica mia, invece no. Sei un’ipocrita. Alla primavera avevi detto che avresti avuto il sapore del sale e della sabbia, del vuoto,di mete lontane:  hai sparso dappertutto su Facebook foto di spiagge, libri sotto l’ombrellone, abbronzature perfette, aperitivi davanti a tramonti (e monti).

Eri pure riuscita a non parlare sempre e solo di quella cosa là.

La prova costume.

Fino a ieri.

Credevo che quest’anno saresti stata onesta, almeno senza fare false promesse. Che ti saresti mostrata per quello che sei, acqua e sapone e non fasulla come le borse di Luis Vuitton vendute sui bagnasciuga.

In fondo cosa sei? Sei le rondini al mattino. La luce che strappa alla notte manciate di ore. Il profilo del monte Rosa dalla veranda. L’odore di zampirone. I piedi scalzi sul parquet. L’afa appiccicosa. Le tapparelle abbassate fino alle sei di sera e quella luce a strisce sul pavimento che fa tanto vacanza al mare anche se sei appena rientrata dal lavoro.

Cara estate, io ti amo, ma quest’anno non mi metterò a dieta per te. Non acquisterò da Yamamay un nuovo costume perché- come dice la mia amica omonima- certamente lo vedrei addosso a una qualsiasi 16enne e mi domanderei, perché, sebbene senza dubbio si tratti dello stesso costume, come mai sembra così abissalmente diverso. Non andrò nemmeno al mare, al massimo potrei cercare di diventare latitante qualche ora e stare un po’ assieme a te, alla piscina comunale. Giusto per ricordarmi di quando me ne stavo su una sdraio per più di un’ora consecutiva.

Inutile che te la tiri, come se avessi vent’anni, lo sappiamo tutte e due che alla nostra età le vacanze non esistono davvero, almeno non quelle che posti su instragram, con quei filtri azzurri, i sederi sodi, le acque trasparenti, mari vuoti, vette altissime, sentieri deserti, baite soleggiate, mucche al pascolo verdissimo, polenta e finferli in rifugi irraggiungibili.

Passiamo qualche ora assieme come vecchie amiche, togli la maschera e goditi anche tu i piedi gonfi, gli aperitivi guardando fuori dalla finestra di casa, le ombre delle candele sulla tavola, le finestre aperte, la fatica della giornata nelle guance, lenzuola di lino, collane di pipistrelli attorno ai lampioni, le gonne colorate e i saldali in ufficio, il profumo di basilico nel vaso sul davanzale.

Cara estate, lo sai, sei come una sorella, dunque ti amo anche se dici le bugie, se te ne vai sempre sul più bello, se fai promesse che non mantieni, perché io so guardarti dentro, e ti vedo per quella che sei per me.

Uno scampolo di spensieratezza, vestita di niente, azzurri cieli e temporali che hanno il sapore del perdono, luce in trionfo, l’oscurità apparente, abbagliante della notte, e rumori, e odori, e pensieri, più forti, più intensi, più coraggiosi.

Se potessi ti chiuderei in un barattolo, come la Trilly di PeterPan, e ti porterei con me, nelle stanze buie dell’inverno.

Comunque, se dovessi andarmene da questo mondo, vorrei farlo in tua compagnia.
Non mi tirare il pacco, eh.
 

7 luglio 2017

progressi estivi


Al mattino i Fantastici più grandi si preparano da soli per andare all’oratorio (è una specie di miracolosa conseguenza della crescita, ques’anno siamo usciti dal tunnel): prendono i loro zaini, eventualmente equipaggiati da loro stessi per la piscina (mutande di ricambio, accappatoio, ciabatte, panini, cuffia), scroccano dal Gmarito delle monete, le ragazze si trascinano dietro enormi sacchi con merce da vendere al mercatino oratoriale. (Se non le controllo, quelle mi vendono i cucchiaini d’argento a 50 centesimi e il Lalique per 5 euro). Sembrano delle Vuccumprà in miniatura.

Megamind all’oratorio si porta la scacchiera. Fa lunghe partite con alcuni amici selezionati un po’ nerd come lui, e se si interrompe appone un cartello: “prego, non spostare pezzi, partita in corso.”

Oppure disegna sul suo album.

O legge Asimov.

Sulla porta lascio appiccicati dei post-it di promemoria, perché io esco prima di loro:

1.       hai preso le chiavi?

2.       Chiudi la porta di casa

3.       Avete messo in frigo il latte?

4.       Oggi ricordatevi che non riesco a venirvi a prendervi.

Ho un senso di colpa latitante, appena al di sotto della superficie della coscienza, di madre poco accudente, ma ovviamente questa è la mia percezione, perché le cose che loro mi rinfacciano hanno altri argomenti, che vanno dal tatuaggio proibito alle proteste per la doccia obbligatoria.

SuperMario, non avendo raggiunto la maggiore età per l’oratorio, va ad un campo estivo.

Il posto è nuovo, gli educatori anche, la struttura è una scuola diversa da quella dell’anno scorso.

Il secondo giorno, un educatore che pare poco più grande di Megamind sulla cui età preferisco non indagare, mi dice:

-Ah. Lei è la madre di Mario. Detto tra noi, non dovrei dirlo, ma comunque, Mario è il migliore. Educato, sorridente, ubbidiente, partecipa a tutti i giochi, mangia tutto. E poi oggi mi si è messo vicino, e mi fissava e gli ho chiesto: Mario che c’è? Hai bisogno? E lui sa cosa ha detto? Ha detto: scusa, posso darti un abbraccio?-

Mi è sembrato di scorgere una lacrimuccia all’angolo dell’occhio sinistro.

Ah! Non sarà merito mio.

Noi madri abbiamo solo colpe, si sa.

Ma sto gongolando da martedì.


 

5 luglio 2017

Mini Viaggio, grandi sassi, molto cibo

La Gfamily aveva bisogno di mare. Come ormai da tradizione abbiamo deciso di andare a Nervi con NonnaA e cuginetto al seguito.
Non disponendo del pulmino Volkswagen da 9 posti che io desideravo ma che il Gmarito non mi ha comprato anche se gli avevo prospettato viaggi peace and love, la partenza è stata così organizzata, come nella migliore nostra tradizione, ovvero: se le cose non sono già abbastanza complicate, vediamo di incasinarle ancora di più. Dunque:
1. Montare sedile aggiuntivo alla Jumbo Car in modo da arrivare a quota 7 posti.
Ovvero, a valige fatte, gatti pasturati, casa chiusa, passare un’ora sotto casa e sotto la pioggia prontamente precipitata nonappena uscita, a carponi nel bagagliaio, cercando di incastrare il fottuto l’ameno sedile dotato di infiniti ingranaggi a molla che parevano avere, rispetto agli incastri del pianale, la compatibilità di una pala idraulica con una vacca piemontese. Intanto, mentre dicevo molte parolacce, gli extracomunitari e i barboni della stazione mi sfottevano divertiti da sotto il portico. Poi è arrivato Megamind. E al mio approccio tipicamente empirico ha sostituito quello logico-cognitivo. In dieci minuto l’avevo montato. L’avrei abbracciato, ma a quasi 13 anni non si può.

2. Con la Jumbo car raggiungere casa della NonnaA, e caricarla assieme al cuginetto
3. Raggiungere il Gmarito nell’area di servizio denominata Assago Ovest, giuntoci con la Dumbo car. (Già trovare l’area di servizio è stata una grande fonte di stress)
4. Scambiarci di macchina perché meglio essere prudenti: -Tutti i bambini in macchina con te, troppo rischioso.-
-Ah, ok, allora scegliamo, chi vogliamo far morire, che viene con me?-
-…-
-Ok, vado da sola-
La NonnaA interviene:- Dai vengo io, così ti faccio compagnia. Tanto, la mia vita l’ho vissuta.-5. E così, carichi di fiducia e ottimismo, siamo partiti verso il mare.
Una volta arrivati a Nervi, abbiamo cercato di concentrare nei brevissimi due giorni, tutte le attività tradizionali.
Pomeriggio ai parchi, picnic a base di focaccia genovese bisunta, moltissimi gelati di Giumin, cena al ristorante sul mare, colazione sulla Passeggiata e shopping di libri sulle bancarelle. In spiaggia siamo stati solo sabato, a Camogli perché c’era un mare forza 4. I bambini hanno preso le onde sul bagnasciuga, costruito castelli con i sassi, superato il primo trauma da mancanza di sabbia, hanno fabbricato amigdale simil-preistoriche battendo un sasso contro l’altro per ore, come maniscalchi medievali. Si sono portati a casa circa 15 kili di sassi tra quelli nel secchiello e quelli rimasti nel costume.
Visto che i miei genitori sono sempre rifiutati di farmi portare a casa i ciottoli liguri per dipingerli, per reazione loro si sono portati mezza spiaggia, con di quei pietroni che puoi dipingerci su tutto il Mar Ligure. Però poi se li sono portati loro fino alla stazione.
E’ stato un soggiorno brevissimo, purtroppo. Ma bisogna accontentarsi. E sperare di tornare a settembre, chissà.
Inoltre, nota non da poco, sono sopravvissuta pure al viaggio di ritorno, pur arrivando tre quarti d’ora dopo il Gmarito con prole, il quale nel frattempo si è prodotto una  performance culinaria memorabile preparando la migliore carbonara mai mangiata, utilizzando gli ultimi alimenti rimasti in frigo: uno speck sottovuoto scaduto, tre uova, e un pecorino stagionato 54 mesi duro come granito.
E’ sempre così, quando si ottimizzano le poche risorse disponibili, si producono i veri capolavori, come VanGogh, che finiva i colori, e allora dipingeva lo stesso con quelli che aveva.