28 luglio 2016

Il camerino


Ho una avversione intrinseca per provarmi i vestiti nel camerino.

Il camerino si prospetta dopo le seguenti fasi iniziali.

Entri in un negozio perché magari ti è piaciuto qualcosa in vetrina o semplicemente c’era un bell’accostamento di colori. Un po’ come quando scelgo un libro.

Prontamente una commessa che è nata dopo il 1990 ti interpella dandoti del tu (non perché ti considera giovane come lei, ma bensì perché LEI si considera giovane, dunque legittimata a parlare come una undicenne):-  Hai bisogno di q…-

Ma non finisce perché appena apre bocca arriva la risposta standard: - Dò un occhiata, grazie.-

E’ il gioco delle parti, lei lo sa, tu lo sai. Se lei -invece- è intelligente, magari perché è nata addirittura prima dell’85, dirà: -Se hai bisogno, sono qui- In quel caso sorridi i vostri occhi si incontrano e vi capite al volo.

Allora poi può succedere che c’è una cosa che ti piace talmente tanto e sembra essere compatibile sia col  culone che con il badget, che addirittura ti senti psicologicamente pronta per affrontare il camerino.

Nei camerini accade quanto segue.

I camerini sono di solito pensati per gente senza braccia, larghi un metro per un metro. Praticamente delle bare con uno specchio. Quanto cominci a spogliarti colpisci con ogni possibile articolazione contro tutte le pareti. Allora la commessa dodicenne arriva e che fa?

Apre completamente la tenda per chiederti se hai bisogno. E tu sei lì. Semiduda. Con le braccia e la testa intrappolata dentro il vestito o il maglione. Vorresti prenderla a scappellotti ma i tuoi arti sono completamente attorcigliati nel malefico indumento, quindi ti limiti a bofonchiare da dentro l’indumento che no, va benissimo, non vede?.

La commessa se ne va, magari ti ha pure fatto una foto mentre eri in mutande e senza testa e la pubblicherà su snapchat (Fb è per vecchi) deridendoti con le sue amiche minorenni (e minorate).

Per inciso, a meno che tu non l’abbia pianificato, quanto entrerai in un camerino avrai sempre biancheria intima inguardabile, stinta, mutandoni della nonna, reggiseno spaiato.

Altra caratteristica dei camerini è la luce. La luce è stata progettata per umiliarti. Una lampadina alogena, orientata in modo che metterà in risalto ogni poro dilatato o pelo incarnito, figuriamoci la cellulite.

Così, quando finalmente ti sei tolta il diabolico vestito, ti guardi e vorresti darti fuoco. Figuriamoci comprare un paio di pantaloni rossi. Ma ormai sei dentro, sudata e ignuda come una ballerina di lapdance, sai che tra poco entrerà ancora a tradimento la commessa, quindi ti infili l’indumento, velocissima, per non farti cogliere in fallo, colpendo con il gomito lo specchio e col ginocchio il muro e contemporaneamente distogliendo lo sguardo dall’immagine riflessa, e finalmente sei vestita. Non fai in tempo, che la commessa masticando una cicca apre la tenda con gesto teatrale. Lei non vede i tuoi occhi iniettati di sangue e dice:- allora, come va?-

Come vuoi che vada, ho il corpo ricoperto di lividi, l’ascella pezzata, sono scalza e ovviamente ho una calza bucata, ho appena visto un mostro allo specchio con le mie sembianze, tu insulsa ragazzetta che porti una 38 e quando è uscito la Bella e la Bestia non eri neanche nata.

Sei costretta ad uscire dal camerino. Ti guardi nello specchio grande del negozio, e voilà.

Sei una gran gnocca. Hai tre taglie in meno. Hai il culo alto come quello di una brasiliana. La commessa commenta:- Mi piaci molto-

Mi piaci molto? Che sei, mia sorella? Manco la mia lesboamica mi dice mi piaci molto. Vabbè il Gmarito poi è fuori questione. In ogni caso tu, che sei una veterana del camerino sai.

Sai che lo specchio del negozio mente. Ha il trucco, è deformato come quelli dei parchi dei divertimenti dei film horror. E’ stato installato da dei diabolici vetrai esperti nel mestiere con una particolare angolazione che fa sì che tu sembri alta e magra.

-Mmmm non so non mi convince. Non mi ci vedo- altra frase da repertorio che sta ad indicare che non ti farai fregare facilmente.

Torni in camerino. Sembri un insaccato.

Torni fuori, gnocchissima.

Potresti continuare per ore da qui a lì, e portare la commessa verso l’esaurimento nervoso, poi decidi che la verità sta nel mezzo (degli specchi).

-Allora, lo porto in cassa? Vuoi vedere qualc…-

Lei non finisce la frase. In quel momento la tua faccia è troppo simile a quella di sua madre quando sta per metterla in punizione per una settimana senza uscire.

Allora paghi in silenzio e esci mentre la commessa ti dice:- Ciao, bella.-

maschile


Scena:

E’ tardo pomeriggio. Siamo in montagna, Megamind e Catwoman si accingono alla loro avventura sopra percorsi sospesi tra gli alberi.

-Ok, vi ho prenotato per le sei, ragazzi!-

(Quando dico “ragazzi” significa che sono nella modalità super entusiasta ed emozionata con impostazione mentale “dodicenne”)

Megamind mi guarda allarmato.

-Alle sei, dunque, se dura un’ora finiamo alle sette!-

-Embè?-

-Ma tu stai qui a guardarci?-

-Oh, si Megamind, non preoccuparti sarò tutto il tempo qui-( E penso, molto rassicurata, beh, dopotutto è ancora il mio bambino)

-No, voglio dire, non sarebbe meglio che torni prima a casa? Perché sennò mica fai in tempo a preparare la cena-

Ah, ecco, no. Non il mio bambino.

Semplicemente un altro maschio.

27 luglio 2016


Questa estate mi sta piacendo.

La Gfamily, ovvero il campo base, è rimasto in città e vi resterà fino al 4 agosto. Ma i Fantastici sono stati piazzati tra oratorio e campus e vacanze ACR e vacanze Oratorio e Sardegna-con-amica.

Ne è venuta fuori una estate molto varia ( per loro) , priva di svacco totale, in cui i Fantastici 4 hanno dovuto comunque mantenere un certo ritmo. SuperMario, CatWoman e WonderWoman, una volta finito l’oratorio/ scuola materna sono stati iscritti ad un Campus estivo che viene organizzato in una bella scuola elementare con un grande giardino, in cui vengono proposte attività sportive differenti ogni giorno ma in maniera sufficientemente light, evidentemente, tali da non sollevare obiezioni nelle mie pigrissime figlie. SuperMario finalmente ha potuto anche lui andare “al suo oratorio” e sperimentare nuove forme di autonomia.

Quando torno a prenderlo alle cinque e mezza tutti i bambini smettono di fare quello che stanno facendo e corrono a salutare SuperMario, pure ragazzini delle medie, che si profondono in grandi abbracci e addii melodrammatici.

-          Mamma, al campus tutti vogliono stare con SuperMario, LITIGANO per giocare con lui!-

Mi riferisce WonderWoman sbigottita.

-          Allora potreste far pagare un biglietto: 50 centesimi per stare con lui-

-          Oh, giusto! Così ci comperiamo le patatine – esulta CatWoman

(Nota per me: ancora non hai capito che i figli useranno al tua ironia contro di te?)

Nel frattempo il Gmarito ed io siamo stati a casa, questo Luglio si è mostrato magnanimo: molti splendidi temporali estivi, un caldo molto educato, tante cene alla luce delle candele in veranda.
Un'estate piacevolmente lunga in cui assaporare le mattine fresche e luminose, risvegliarsi con le rondini, farsi inebriare dal profumo di zampirone e citronella appena prima di svenire per intossicazione, mangiare moltissimi gelati.

WonderWoman è partita per la Sardegna con la sua amichetta del cuore per due settimane e il resto della Gfamily si è concessa un weekend in ValVigezzo.

Tre giorni di temporali freschissimi e schiarite, passeggiate in pineta, una esperienza di arrampicata sugli alberi per i due grandi (con imbragature, moschettoni e funi e crisi di ansia materne), partite a carte serali.
Abbiamo pure fatto una gita serale a Canobbio fingendo di andare in Svizzera. Passeggiata sul lungo lago, gelato, musica dal vivo, e lunghe spiegazioni sul perché-nonostante fossimo in svizzera- si potesse pagare con gli euro. Per fortuna la massiccia invasione di Tedeschi biondi in infradito avvalorava la nostra effettiva presenza su terra straniera.
Mentre al ritorno affrontavamo la notte, i tornanti con vista sullo strapiombio della Val Canobina, i miei peggiori incubi emersi direttamente dall'inconscio, abbiamo incontrato una volpe che ci ha osservati per un po', per poi sparire nell'oscurità.
 

Poi, al termine della nostra parentesi montana, mi sono goduta due giorni a casa coi Fantastici. Dopo settimane di giornate pianificate tra oratori, campus, vacanze oratoriali, due giorni vuoti sono stati una novità. Ho accantonato l’idea di portarli a Milano o verso qualche altra meta culturale per sperimentare un po’ di pigro tempo d’estate.

Lunedì c’è stato un tripudio di lavoretti.

I miei lavoretti sono stati:

Ho smontato il frigo e l’ho pulito con furia sovrumana.

Ho fatto 5 lavatrici

Ho riordinato tutte le scarpe delle mie figlie

Ho disfatto le valigie

Ho preparato la cena

CatWoman :

Ha plasmato col suo “vasaio pazzo” (nome altamente inquietante che potrebbe essere tradotto in: “evita pure di lavare il pavimento prima di utilizzarlo”) un meraviglioso posacenere VOLUTAMENTE asimmetrico per suo padre

Ha disegnato

Ha costruito una valigetta portaoggetti con una scatola di cartone assemblando alcuni articoli appositamente tratti fuori dalla spazzatura da lei stessa

Megamind:

Ha progettato e poi realizzato, impiegandoci circa 6 ore, un costume da Inca per le sue prossima Vacanze di Branco (leggi: scout)

SuperMario:

Ha fatto gli esperimenti con le bolle, con il bicarbonato e l’aceto, coi coloranti alimentari, con l’acqua.

Visto che il pavimento rivelava ancora il suo colore originario, ha poi deciso di giocare anche col pongo

Ha poi passato l’aspirapolvere per 45’ sdraiandosi sul pavimento

Non contento, mi ha dato una mano a costruire un garage con lo scivolo, perché avanzava spazzatura da riutilizzare.

 


Il giorno dopo ci siamo svegliati a mezzogiorno.

Un meritato riposo, direi.

Per rendere mitico il vergognoso risveglio, (nonché esimermi dal pranzo) abbiamo sdoganato il Brunch. Latte, cacao, biscotti, pizzette, schiacciatine, succo, yogurt, tutto assieme senza alcuna regola. Un successone.

Il pomeriggio se n’è andato liscio tra compiti, un film, la costruzione di armi di distruzione di massa in lego duplo da parte di SuperMario, una passeggiatina in centro con gelato. Due giorni così, ci volevano.

Oggi sono tornata al lavoro serena. I Fantastici sono dalla nonna, a farsi viziare e a godere di un po’ di giardino, di zanzare tigre, coccole.

18 luglio 2016

le cose della vita (una certa madre)


Una mia certa amica e madre (di un numero imprecisato di figli), mi ha chiesto di scrivere un post, e visto che non posso certo esimermi dall’aiutare un’amica perdippiù madre, che vuole però rimanere nell’anonimato per non correre il rischio di essere denunciata dai suoi (imprecisati) figli in futuro, eccoci qua.

Facciamo finta che un giorno questa madre si confronti con delle amiche.

E che scopra che tutte le sue amiche dotate di figli hanno fatto QUEL discorso alle figlie.

E anche ai figli maschi.

No, non la domanda sul sesso, su cui questa madre ha già tenuto conferenze infinite e variegate nei precedenti 4 anni e mezzo, e si considera già navigatissima, nonostante le ricorrenti domande le abbiamo instillato il sospetto che il numero imprecisato di suoi figli non abbia capito ancora una fava.

No, intendo il discorso delle (lo dico:) mestruazioni.

Maschi rabbrividite.

Perché a quella madre parlare di questo argomento con la figlia equivale a capire improvvisamente che ella non è più una bambina e questa cosa, insieme al fatto che le ha dovuto comprare dei pseudo reggipetti che sennò si vergognava, la fa piangere.

Sì, questa madre c’ha la frignata facile.

Ebbene, questa madre si stava preparando da Natale, e insomma era arrivato il momento di fare questo discorso prima che la figlia lo imparasse dalla compagna un po’ zoccola delle medie (che ce n’è sempre una in ogni classe) contestualmente all’uso della pillola e alla lettura dell’evoluzione del giornaletto “cioè”.

Allora, dunque, alla fine lei prende il coraggio a due mani, e mentre è in cucina, ove si consumano tutti i drammi e le gioie dell’universo mondo, questa coraggiosa madre chiama sua figlia decenne e le fa IL discorso. Che comincia con: "Adesso facciamo un bel discorso da signorina"

Lei crede di essersela cavata bene, di avere detto tutto per benino, senza tralasciare nulla e anche con una certa nonchalance ben costruita. E la figlia ha passato le varie fasi emotive e facciali durante tutta l’esposizione: curiosità, schifìo, imbarazzo, disgusto, solennità (ancora un po’ di schifìo) e infine delusione.

-Io pensavo che parlavamo del cellulare che mi dovete comprare alle medie!-

La madre, che si stava riprendendo dallo sforzo per mantenere un certo contegno e non mettersi a frignare dicendo di rivolere la sua bambina, non ha raccolto.

 

Mentre la sua figlia non più bambina concludeva dicendo: - fortunati i maschi, però-

A quel punto la madre, ormai lanciatissima e pronta a tutto, decideva di chiamare all’appello anche l’indefinito figlio maschio, per informarlo anche lui delle cose di femmine- cercando di indagare, contestualmente, cosa ne sapesse sull’argomento- (la qual cosa, pare, senza alcun successo).

La scenetta si è ripetuta, ma senza alcun commento da parte del figlio maschio, che ha semplicemente ostentato una sola unica espressione facciale con contorcimento di mani e braccia, ben riassunta nella seguente illustrazione.

E comunque la mia amica madre ne è uscita vincitrice ed orgogliosa.

Magari potrebbe fare un ripassino anche al (suo imprecisato) marito.

indovinelli a gente quasi morta


Sono le due postprandiali di domenica e io mi trovo in stato premorte sdraiata sul letto.

Onde invisibili vengono emanate dal mio corpo in posizione orizzontale e vengono captate da altrettanto invisibili antenne di SuperMario che si trova oltre due porte rigorosamente chiuse, davanti alla tv.

E dunque, il BimboMario, dotato di questo sesto senso che invece di vedere la gente morta, capta quando sua madre sta per addormentarsi/è al telefono/ sta facendo qualcosa di fichissimo per la quale non deve essere disturbata, arriva.

E ha voglia di parlare. Però bisogna stare con gli occhi aperti.

Io cerco di biascicare parole con un senso compiuto che non gli facciano sospettare il fatto che in realtà dormo. Col Gmarito, talvolta, funziona.

- facciamo gli indovinelli?- chiede SuperMario

(oh si bellissimi gli indovinelli: sparatemi)

Dopo avere indovinato pera, luna, cielo, occhi e sedia, domando:

-qual è quella cosa che piace tanto alla mamma?-

-….mmmmmm….baciare il papà-

(io stavo pensando a “dormire”)

Allora SuperMario di rimando mi domanda:

-E cos’è che piace tanto a Me?-

-Mangiare.-

-no-

-Dormire-

-no!-

(Ci ho provato)

-Cantare-

-nooooo-

-Mi arrendo!- (mano in alto, sparami, così dormo il sonno eterno)

-Cosa piace tanto a me? La mamma!-

Non fosse che vorrei solo dormire, potrei anche commuovermi.

Invece, mi son fatta due caffè.

15 luglio 2016

forse sono una medium e non lo so


Ho sognato che ero in una città di notte.

Una città di mare con una spiaggia fatta di sassi.

Questa città e questo mare erano piuttosto pericolosi.

Soprattutto il mare e la spiaggia. Chi voleva avvicinarsi indossava un caschetto giallo come quello dei cantieri. Ho chiesto a qualcuno perché e mi hanno fatto vedere.

Mi hanno mostrato che nella spiaggia uno strano vento forma delle dune. Dune di sassi. Dune di sassi che si muovono come fossero vive. E spesso sassi volanti possono colpirti in testa, dunque ci vuole attenzione.

E’ una spiaggia insidiosa.

Insidiosa e bellissima, perché il tramonto dura tantissimo e molte persone corrono il rischio di venire colpiti dai sassi o sommersi dalle mostruose dune semoventi pur di ammirare lo spettacolo.

Ma la cosa più inquietante, più paurosa, è il mare.

Perché questo mare è come dotato di vita propria. Non ci sono onde normali. Ci sono onde piccole, poi, all’improvviso sull’orizzonte si possono vedere onde immense che cominciano a stagliarsi e ad ingigantirsi mano a mano che si avvicinano, bellissime e trasparenti che fanno intravedere il cielo rosa di tramonto, ma crudeli e assassine. Allora la gente che sta a guardare- che sa di correre il pericolo- si mette al riparo appena prima di essere travolta da quel mostro d’acqua.

Poi l’onda successiva può anche essere talmente piccola da non riuscire nemmeno a spostare una conchiglia.  Oppure il mare si ferma immobile come uno stagno.

Guardarlo è terrificante, io sono terrificata, all’improvviso vedo una di quelle onde, solitarie in mezzo a quel mare calmo, che arriva, si avvicina, si ingigantisce. Allora, provo a fermarla con il pensiero, e con i gesti delle mani, come fossi un direttore d’orchestra. E il mare mi ubbidisce. Mi ubbidisce, e nonappena si forma una grande onda, io la riduco disegnando nell’aria con le dita.

Tutti mi guardano e mi dicono che ho un potere magico e io rispondo che no, è il mare ad essere magico e a decidere di ubbidire ai miei gesti.

Poi realizzo che devo restare lì, incastrata da un mare assassino da tenere a bada, e a dune di sassi semoventi che si spostano misteriose.

Poi stamattina ho letto della strage a Nizza, ed h pensato che questo sogno, stanotte, è proprio strano.

14 luglio 2016

le lettere delle madri


Caro Figlio mio.

Oggi è il tuo compleanno. O il tuo onomastico. O sei stato promosso, oppure una ricorrenza qualsiasi come per esempio un psudodiploma di quinta elementare, il master in flauto dolce.

Ora io, che sono tua madre, decido di scrivere inspiegabilmente su Faccialibro, sul mio blog, su Twitter o direttamente al Corriere della sera on line, una lettera. Perché io lo faccia non si sa, visto che tu, figlio mio, si suppone abiti in casa mia, e se voglio dirti delle cose posso strapparti di mano l’ipad, toglierti le cuffiette mentre ascolti “andiamo a comandare” e, avendo io l’uso della parola e tu l’udito, comunicare in modo arcaico.

Ma poi toglierei al cyber universo mondo l’immenso privilegio di conoscere i miei sentimenti di madre nei tuoi confronti.

Prima farò un bell’excursus di quando sei nato, corredato di dovizie di particolari sulle ore di travaglio, le figure da perfetto inetto di tuo padre, gli schizzi di sangue e placenta sui muri e i 35 punti di sutura in luoghi che avresti preferito non sapere. Ma bisogna, figlio mio, che tu SAPPIA.

Poi ti dirò che mi sono LETTERALMENTE innamorata di te appena ti ho visto/a (nonostante quanto sopra), in modo che tutti i tuoi amici frequentanti internet possano sfotterti facendo circolare le foto tue nudo nel lavandino col pistolino di fuori che io avrò ben pensato di pubblicare assieme alla mia epistola.

Inoltre scriverò che naturalmente sono sconfinatamente fiera di te, ovvero del mio (piccolo, grande) ometto/donnina  ( o del mio ragazzo / della mia principessa, oppure del mio Ciccino/ della mia Patatina).

Fiera per gli straordinari successi qui di seguito riportati:

hai superato la quinta elementare, hai tolto il pannolino,  hai fatto il saggio di flauto dolce, hai compiuto gli anni, ti è venuto il primo ciclo, hai mangiato la tua prima pappa al semolino.

Aggiungerò cose strappalacrime sulla mia vecchiaia incipiente, scriverò quella cosa sui figli che sono come gli aquiloni che gira su internet, e dichiarerò che sarò sempre al tuo fianco, senza ricordarmi che per esempio sarebbe stata l’ultima cosa che avrei voluto sentirmi dire da mia madre dopo i 13 anni.

Naturalmente, dopo avere concluso con una frase che assomiglia più ad un epitaffio che altro, mi guarderò bene dal dirti in faccia queste cose, nemmeno scrivendole su un post it o su snapchat, anche perché so che, raggiunta l’età della ragione, mi guarderesti come una pazza, o mi sputeresti in un occhio oppure mi chiederesti se ho una malattia terminale.

Ma io sono tua madre e le madri scrivono le lettere a cuore aperto ai figli su internet e prima o poi qualche psichiatra dovrà pure dire qualcosa.

No?

prerogative della carta igienica


Ora vi spiego cosa sia la resilienza.

La prima volta che ho sentito questa parola, è stata in una pubblicità per la carta igienica.

La qualcosa non mi ha per nulla illuminato sul significato di questa parola che è saltata fuori improvvisamente dal nulla, che nemmeno il “petaloso”.

E naturalmente poi hanno cominciato ad usarla tutti, esattamente come la cartaigienica.

Essendo un aggettivo per la carta da c…igienica, uno potrebbe pensare che significhi: morbidezza e resistenza e lunghezza il tutto condito col profumo di aloe vera.

No la resilienza è quella cosa che –pare-abbia permesso che lo scimmione di Neanderthal si evolvesse nello scimmione l’uomo di oggi. Ovvero diciamo la capacità di resistere alla fatica ed allo sforzo, basandosi sulle proprie intrinseche peculiari attitudini, anche in posizione di netto svantaggio fisico, mantenendo fisso lo sguardo mentale sull’obiettivo anziché sull’ostacolo e contando su un preciso calcolo della durata del proprio dispendio energetico (mentale o fisico).

Se ne conclude che io, a parte la posizione eretta e la mancanza di peli più o meno artificiale, appartenga ancora allo stadio evolutivo precedente.

11 luglio 2016

La siepe

 

Ecco cosa c’è nella siepe di bosso:

occhi gialli di merli,

ragni tigre

e animali mitologici in miniatura.

Si scorgono misteri

nella foresta oscura

che sa di pioggia calda,

di more acerbe.

La prova di coraggio sarà

entrare con il braccio

abbracciare tutta la paura

dell’umanità intera,

e afferrare con la mano

il dorato tesoro

rimasto intrappolato

in quell’estraneo verde mondo.

i pomeriggi (apparentemente) immobili


I pomeriggi (apparentemente) immobili

I personaggi

di questo pomeriggio estivo

stagliano ombre sulla tavola

bianca di tovaglia

come città assolate:

sono una tazza usata,

una sigaretta col suo scampolo di fumo

addormentata sul piattino da caffè,

una bottiglia trasparente

che lascia trapassare il cielo.

Aspettano tutti abbacinati

(solo apparentemente immobili)

che la luce ritiri le sue accecanti dita

che la loro illusione di vita immobile,

sopisca nella sera.

 

 

notturno


Nella notte

ogni pianta in veranda

si tinge del nero della morte,

lucide le foglie

come schiene di coleotteri,

stampate sul cielo

diffuso di chiarore d’estate,

di mistero,

d’eterno.

 

Chi tace

può sentire il respiro

dimenticato del mondo,

come un remoto sogno di foresta antica

che al termine del giorno

ha già speso tutti i suoi colori.

Ed ogni sua cosa giace

nel profondo addormentata

e scura

e silenziosa.
 

8 luglio 2016


Io lo so che morirò di malinconia quando i Fantastici saranno cresciuti.

Il guaio è che non crescono come i peli.

Che una sera li radi e c’hai la gamba liscissima, il giorno dopo se ti carezzi il polpaccio sembra la barba di tuo nonno.

Loro crescono in maniera subdola.

A tradimento. Il giorno prima dormono con la bambola, quello dopo ti scrivono “ti odio” su wat’s up usando il cellulare del padre (e avendo l’accortezza di firmarsi).

Sulla spiaggia del lago la sabbia diventa noiosa, poi però si usano ancora i bastoni come fucili.

Fanno due passi avanti e uno indietro, per confonderti le idee. Così non sai più se esasperarti che non sono autonomi, o piangere che ormai sono perduti.

Poi, dopo questa fase transitoria in cui alla fine tra regressioni e paturnie preadolescenziali mi sento rassicurata, un giorno, bum.

Saranno ragazzi. Mi preoccuperò un casino senza poter intervenire. Saranno diversi da come me li aspettavo. Allora morirò di malinconia, già ci muoio ora. Se penso a quel microscopico parco in cui andavo con Megamind di due anni,  c’era una collinetta con sopra un grande pioppo cipressino che mi ricordava il Solimei e che ora hanno tagliato rendendo quindi il ricordo ancora più remoto,  e lui raccoglieva i bastoni, ci scavava la terra, il sole di luglio torrido, e due chiacchere con altre mamme un po’ sfinite che non vedevano l’ora che i loro bambini si spingessero da soli sull’altalena.

E ieri alla recita dell’oratorio Catwoman interpretava Trilly (è lei, è lei, piccola possessiva, permalosa e deliziosamente seduttiva) e PeterPan rivendicava la sua vittoria, quella di non crescere mai, e mi è venuto in mente che da piccola è stata la mia storia preferita di sempre e che anche io sognavo di non crescere mai, e forse è per questo che metto le magliette a righe.

Forse è per questo, che mentre loro crescono, sono obbligata a farlo anche io.

(ma metterò magliette a righe finchè campo)

5 luglio 2016

LA MADRE SA


La madre sa cosa vuol dire quando in un sabato piovoso senza impegni, giungono in cucina tre Fantastici su quattro alle ore 12.05 e dichiarano che vogliono aiutarti a cucinare.

La madre sa che non può dire di no, cosa che si trasformerebbe in un alibi a vita per non aiutarti mai più a fare alcunchè di collaborativo in casa, essendo loro convinti che cucinare con te sia davvero un aiuto.

La madre sa che è profondamente diseducativo dire ad un bambino che no, l’ultima cosa al mondo che vuole alle ore 12..05 quando il pollo non è ancora del tutto scongelato è un minorenne che sparge farina, rompe uova e mangia il burro a cucchiaiate e consulta la CVCINA ITALIANA dichiarando che vuole fare il soufflè al pecorino di fossa.

Ovviamente la madre sa che deve invece dire di sì e che i Fantastici non si accontenteranno di fare una pasta al burro  ma vogliono affettare, spalmare, fracassare gusci, infarinare, soffriggere, mescolare. Inoltre dovranno esserci almeno tre portate.

La madre a quel punto avverte il Gmarito che si mangerà alle due, e il poveretto, dopo avere apparecchiato, si stenderà rassegnato sul divano elemosinando dai figli qualche pezzo di prosciutto.

Alla fine si andrà in tavola e la madre ancora una volta si illuderà che Catwoman masticherà almeno quello che ha preparato, e invece no, perché lei mangia solo cose semilavorate in via di preparazione, possibilmente crude, per poi lasciare mezzo piatto pieno.

In ogni caso la madre potrà consolarsi pensando di avere fatto una cosa molto montessoriana  e addirittura vantarsi su Pinterest o qualche altra piattaforma per madri perfette.

Ecco che poi la madre, pensando di avere svolto il suo compito educativo, dopo avere ripulito la cucina cosparsa di farina-uova-mozzarella-olio-pomodoro, finalmente si siede e decide di dedicarsi al cucito creativo, che ci pensa da circa 4 mesi.

Ed ecco la seconda calamità.

I Fantastici che arrivano dicendo che anche loro vogliono fare i lavoretti.

Dipingere.

Fare vasi di creta.

Cucire una borsa.

O in alternativa il buon vecchio: voglio fare un lavoretto MA NON SO CHE COSA, alludendo al fatto che nulla di ciò che propone la madre prevede un congruo spargimento di materiale inerte in giro per la cucina.

Ed ecco che la madre si ritrova in un angolo del tavolo, cercando di difendere scampoli di stoffa da schizzi gialli e neri di tempera (ape di cartapesta) e da crisi isteriche perché i colori si mischiano, per poi concludere la sua pausa creativa cucendo assieme a WonderWoman un porta tablet.
 

Poi la madre vanifica tutto lo sforzo educativo montessoriano con dichiarazioni definitive e terroristiche.

E si mette a pulire macchie gialle e nere dal tavolo, pavimento, magliette e cellulare.
Quindi, tutte le foto che vedete su Pinterest di madri e bambini e simpatici lavoretti:
non credeteci.