CatWoman quando aveva 4 anni era sempre arrabbiata. (Oddio,
non che adesso sia proprio come l’Orsetto Del Cuore) Disegnava nella sua
stanza? Veniva da me, che ero in cucina, e mi gridava:- Mamma ecco, ho sbagliato il disegno, è colpa tua!-
Questo è perfettamente in linea con la regola aurea per cui
è sempre colpa della Madre. Ma ci dice anche qualcos’altro. CatWoman è sempre
in lotta con l’infelicità.
-Com’è è andata oggi?-
Lei mi risponde con un dettagliatissimo elenco di cose come:
mi è andato un moscerino nell’occhio, Christian non mi ha chiesto per piacere,
Penelope mi ha fatto uno sgambetto, la maestra non ha mai sorriso, a mensa il
riso bianco non era abbastanza bianco, ho gli occhi troppo azzurri, ho i piedi
troppo corti, non è giusto che l’autunno sia prima del’inverno.
L’anno scorso abbiamo creato il gioco della felicità in cui
davo dei punti per ogni cosa bella che sapevamo trovare nella giornata. Una
riedizione del gioco di Pollianna.
Pensando e ripensando a questa storia della felicità, ho
avuto una rivelazione. Per caso, (ma il caso non esiste, citazione colta da
Kungfu Panda) leggendo qua e là cose varie ed eventuali.
Se non siamo felici, NON è colpa di qualcuno.
O qualcosa.
Abbiamo tutti così bisogno di scaricare le responsabilità
all’esterno. Vogliamo essere scarichi. Da colpe, da responsabilità personali,
da consapevolezza.
Così, ci illudiamo che alè, siamo liberi. Leggeri. E’ sempre
colpa:
della stanchezza, delle troppe cose da fare, dei capricci
dei bambini, del collega stronzo, del freddo, del caldo, del
marito/moglie/figlio che non aiuta, non capisce, non collabora, è colpa del mal
di schiena, del lavoro che non va bene, della moglie che non è abbastanza
disponibile, del callo sotto al piede, del mal di testa, del traffico, delle
donne al volante, del ciclo, dell’euro. E’ sempre colpa del prete, della
maestra, dello stipendio troppo basso, del disordine, della casa troppo
piccola, dell’umidità e delle mezze stagioni che non ci sono più.
Mi è sorto il sospetto che se leghiamo la nostra felicità a
qualcosa che è ESTERNO da noi e su cui non abbiamo il controllo (perché c’è
qualcosa su cui abbiamo il controllo?), allora non potremo mai essere felici.
Non che un aumento di stipendio, un complimento, un bel
voto, un bacio perugina il giorno di SanValentino, un trilogy, una bella vacanza,
una scorpacciata di strudel non ci renda felici.
Ma son tutte cose che hanno il deprecabile difetto di
generare una felicità che dura poco, come uno zolfanello, dura fino alla
delusione al callo, al torcicollo successivo. Pure se vincessimo al
superenelotto e fossimo a posto per le prossime due generazioni, a quella
stessa felicità ci abitueremmo molto presto e troveremmo presto qualcosa che ci
rende insoddisfatti. Ancora sempre affamati di quel qualcosa che manca al
puzzle della felicità.
Come lo zucchero filato che ho desiderato per decenni da
bambina e quando finalmente me lo sono comprato con la mia paghetta ai Giardini
Margherita (era azzurro me lo ricordo) dopo tre morsi mi ero stuccata. Oltre ad
avere la faccia come un puffo e appiccicosa come la carta moschicida.
Se ci penso adesso mi spiego una cosa:
se una persona è triste, non serve a nulla ricordargli tutte
le cose belle che ha, quell’elenco un po’ scontato da fiera delle banalità (la
salute, i figli, il lavoro, una moglie che glie la dà, un marito che fa
i lavoretti in casa, o anche il milione di euro vinto al superenalotto).
Ancora più odioso è ricordargli che ci sono persone
sfigatissime (gente in guerra, che muore di fame, che ha perso il lavoro, che
guarda il Grande fratello Vip).
Non serve a nulla ricordargli queste cose perché in fondo in
fondo lo sappiamo tutti che la felicità vera non viene da FUORI.
Ecco, ho detto a CatWoman, sfruttando la sua razionalità: la
felicità non viene da fuori (perché mica si tocca, né si annusa, né si mangia),
viene da dentro, perché la felicità è un sentimento (per fortuna hanno fatto
INSIDE OUT a corroborare la mia tesi, che sennò la Madre è ormai poco
credibile) e quindi ‘sto sentimento puoi farlo spuntare solo tu dentro di te,
come un fiore, e puoi farlo senza bisogno di prendere in prestito niente dal
mondo esterno: tu hai già tutto per far nascere quel fiore azzurro:
-hai il seme (da quando sei nata)
-hai il vaso
-hai l’acqua per annaffiarlo
-hai pure il concime
E quando sarà spuntato, tutti potranno vederlo, sarà
cresciuto dentro di te ma ne godranno tutti.
E quindi, come si fa, esiste una tecnica?
Ovviamente deve esistere, perché siamo programmati per
essere felici (tutti in questo siamo uguali e spiccicati, tutti vogliamo in
fondo solo una cosa: essere felici), e quindi dovrà pur esserci un modo sicuro
per esserlo.
Ma è un esercizio, un allenamento.
E non farsi perdere d’animo quando ci viene voglia di usare
il concime possibilmente organico del fiore azzurro per l’appunto sopracitato
per seppellire chi ci sta di fronte.
E non farsi demoralizzare dagli insuccessi.
E quindi lo scriverò nei prossimi post come va questo
esperimento, come procede.
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