12 luglio 2017

lettera (tramite un noto espediente letterario retorico) a quella stronza dell'Estate


Cara Estate,

credevo che fossi amica mia, invece no. Sei un’ipocrita. Alla primavera avevi detto che avresti avuto il sapore del sale e della sabbia, del vuoto,di mete lontane:  hai sparso dappertutto su Facebook foto di spiagge, libri sotto l’ombrellone, abbronzature perfette, aperitivi davanti a tramonti (e monti).

Eri pure riuscita a non parlare sempre e solo di quella cosa là.

La prova costume.

Fino a ieri.

Credevo che quest’anno saresti stata onesta, almeno senza fare false promesse. Che ti saresti mostrata per quello che sei, acqua e sapone e non fasulla come le borse di Luis Vuitton vendute sui bagnasciuga.

In fondo cosa sei? Sei le rondini al mattino. La luce che strappa alla notte manciate di ore. Il profilo del monte Rosa dalla veranda. L’odore di zampirone. I piedi scalzi sul parquet. L’afa appiccicosa. Le tapparelle abbassate fino alle sei di sera e quella luce a strisce sul pavimento che fa tanto vacanza al mare anche se sei appena rientrata dal lavoro.

Cara estate, io ti amo, ma quest’anno non mi metterò a dieta per te. Non acquisterò da Yamamay un nuovo costume perché- come dice la mia amica omonima- certamente lo vedrei addosso a una qualsiasi 16enne e mi domanderei, perché, sebbene senza dubbio si tratti dello stesso costume, come mai sembra così abissalmente diverso. Non andrò nemmeno al mare, al massimo potrei cercare di diventare latitante qualche ora e stare un po’ assieme a te, alla piscina comunale. Giusto per ricordarmi di quando me ne stavo su una sdraio per più di un’ora consecutiva.

Inutile che te la tiri, come se avessi vent’anni, lo sappiamo tutte e due che alla nostra età le vacanze non esistono davvero, almeno non quelle che posti su instragram, con quei filtri azzurri, i sederi sodi, le acque trasparenti, mari vuoti, vette altissime, sentieri deserti, baite soleggiate, mucche al pascolo verdissimo, polenta e finferli in rifugi irraggiungibili.

Passiamo qualche ora assieme come vecchie amiche, togli la maschera e goditi anche tu i piedi gonfi, gli aperitivi guardando fuori dalla finestra di casa, le ombre delle candele sulla tavola, le finestre aperte, la fatica della giornata nelle guance, lenzuola di lino, collane di pipistrelli attorno ai lampioni, le gonne colorate e i saldali in ufficio, il profumo di basilico nel vaso sul davanzale.

Cara estate, lo sai, sei come una sorella, dunque ti amo anche se dici le bugie, se te ne vai sempre sul più bello, se fai promesse che non mantieni, perché io so guardarti dentro, e ti vedo per quella che sei per me.

Uno scampolo di spensieratezza, vestita di niente, azzurri cieli e temporali che hanno il sapore del perdono, luce in trionfo, l’oscurità apparente, abbagliante della notte, e rumori, e odori, e pensieri, più forti, più intensi, più coraggiosi.

Se potessi ti chiuderei in un barattolo, come la Trilly di PeterPan, e ti porterei con me, nelle stanze buie dell’inverno.

Comunque, se dovessi andarmene da questo mondo, vorrei farlo in tua compagnia.
Non mi tirare il pacco, eh.
 

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