4 maggio 2015

videocamere di sorveglianza

Ricordo quando MegaMind è andato alla scuola materna.
Lui piangeva come un disperato, ha pianto per mesi.
Ma non è questo che voglio ricordare. Che se ci penso sto ancora male mammescamente.
Ricordo che quello che più mi lasciava sconcertata non era tanto il distacco da lui, ma il fatto che da quel momento faceva esperienze che non non avrei condiviso.
Fino a quel momento ogni sua scoperta, capriccio, conquista, pianto, persino ogni cacca, nelle sue varie consistenze, era qualcosa cui io partecipavo.
(Volente o nolente)
Io guardavo il mondo coi suoi occhi, e lui con i miei. Io davo il nome alle cose, io le rendevo belle per lui, io creavo la sua realtà.
Poi, grazie a Dio, viene il distacco. La distanza. Il figlio diviene se stesso, vivendo esperienze non mediate dalla madre.
All'inizio è liberatorio ma anche angosciante.
Perchè non hai più il controllo. Perchè ti sfugge, perchè ti tendi conto che è un estraneo.
E Megamind, come il gmarito, era un ostrica, e continua ad esserlo. (Quando trovo la perla, ve lo dico)
E io appena vedo che qualcosa lo turba, prenderei un crick e gli aprirei la bocca estraendo il rospo, ricorrendo pure a biechi ricatti. Ovviamente non è una tattica vincente, e il fatto che io non l'abbia ancora appreso in 10 anni di matrimonio, mostra quanto l'angoscia mi soverchi talmente tanto da riuscire a farmi mandare a quel paese in tre lingue.
Col gmarito non  imparerò mai, invece con Megamind sto facendo dei progressi, e di riflesso pure con gli altri Fantastici. Non ho più bisogno di conoscere ogni dettaglio della loro giornata, di arginare i loro sentimenti, e questo-sorpresa!- fa bene a entrambi.
Se non detestassi la parola privacy, potrei usarla, ma, oltre ad essere ormai tanto logora quasi quanto la parola amore, non centra il bersaglio.
Non è questione di privacy, ma di distanze. Di libertà. Di responsabilità.
A me è costato molto capire tutto questo, cioè capirlo non con la ragione, ma con la pancia.
E mi sono resa conto che non è un atteggiamento molto diffuso.

CatWoman è partita per la gita allo zoo. Cioè non è uno zoo, è un safari park, che zoo si diceva fino agli anni '90.

In ogni caso l'ho portata all'appuntamento davanti alla scuola all'alba, ovvero alle 7.00, e sono rimasta finchè non è partito il pullman solo perchè il mio orario di lavoro parte dalle 8.00 ed ho aspettato altre mamme per bermi un caffè con loro e farmi 4 chiacchere. Le quali madri, non si sono mosse dal marciapiede finchè non hanno visto passare l'autobus col loro pargoletto, dispiacendosi perchè era seduto sull'altro lato e quindi per non avere visto che faceva ciao con la manina, cosa che non avrebbe fatto comunque perchè si stava già menando col bambino di dietro.

Dopodichè sul gruppo delle mamme di wats'up della relativa classe c'è stata una cronaca minuto per minuto del viaggio, da parte di una mamma infiltrata alla gita.
Venivo informata che che:
un bambino ha vomitato.  Stanno guardando un film. L'altro pullman si è rotto e aspetta mezzo sostitutivo. Stanno per arrivare. Sono arrivati, il tempo è nuvolo,no, aspetta, sta uscendo il sole, guardano il rinoceronte (foto), si fermano per una pausa, 50 foto in sequenza di animali dietro uno schieramento di zainetti, il tempo sembra peggiorare, forse piove, si mettono i k-way, ma per fortuna c'è il laboratorio, momento del pranzo e dei souvenir. Stanno salendo sul pullman per tornare. Mettono su un altro film (sono finiti i tempi in cui si cantava Romagna mia. Nemmeno O mia bella Madunina, poi ci sono i musulmani, sarebbe indecoroso, rimbambiamoli con la tv) Il viaggio va bene, non c'è traffico, forse arrivano in anticipo, ecco, sono arrivati a scuola, sono le 15.15.
Tra un messaggio e l'altro infiniti commenti di giubilo delle mamme, tutte felicissime avere un occhio (anzi due) nella vita dei figli, di sapere se si sono messi la felpa, se hanno preso la pioggia ( che pare essere una specie di tragedia, nonostante i bambini siano stati equipaggiati come degli sherpa). Felici di partecipare anche se non ci sono.
E di controllare. Di filtrare.
Di vivere, in definitiva, la vita dei figli.

Non voglio sembrare troppo severa, ma forse dovrebbero scoprire quanto possa essere liberatorio, per i figli -ma anche per loro stesse-, cominciare a mettere delle distanze, concedere i figli uno spazio riservato, in cui poter fare degli sbagli, mettersi i pantaloni della tuta al contrario, usare il kway come mantello di batman, spappolare la banana in fondo allo zaino, avere dei segreti.

Perchè poi accede che gli si compra il cellulare a dieci anni, fingendo che serva garantire maggior sicurezza per quando vanno a scuola da soli, ma in realtà lo usano per leggere di nascosto i messaggini su wat's up, spiare il loro profilo facebook e scoprire se la ragazza a cui fanno il filo è abbastanza carina. E non extracomunitaria.


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