21 giugno 2019


Oggi mentre facevo il cambio del mio armadio, stipando grandi quantità di abiti in sacchettoni destinati alla Caritas, e dicendo addio a vestiti in cui entravo 10 anni fa quando mi consideravo già fuori forma, ho pensato a quanto saremmo più liberi se possedessimo meno.


E che ogni oggetto che consideriamo un nostro possesso, ha moltissimi invisibili fili che ci legano ad essi e limitano i nostri movimenti, i nostri pensieri e ci tolgono un pò di libertà.
Libri da spolverare, magliette da smacchiare, case da pulire, paccottiglia a cui trovare posto.
I famosi decluttering liberanti, sono in realtà turn-over per far spazio a nuovi oggetti, più accattivanti e fotogenici, e non una vera aspirazione all'essenzialità.
Al di là del minimalismo ricercato come ennesimo atto estetico, mi sono chiesta cosa ci spinga a compare nuovi abiti e nuovi oggetti.
In un nuovo abito io cerco una nuova versione di me stessa, un'immagine che mi ritorni dallo specchio e che mi dica chi io sia. O chi voglia essere.
Perchè diventare ciò che siamo (davvero) mi appare l'unica possibile felicità.
Ma una nuova gonna a fiori non mi dirà chi sono, nemmeno se presa al 50%. 
In fondo acquistiamo cose pensando che esse ci definiscano, nell'illusione che siamo ciò che possediamo.
Sepolti sotto strati di oggetti e abiti e status, siamo sempre più schiavi dagli obblighi che essi ci impongono, e alla fine siamo noi a servire le cose e non il contrario.

Così ci dimentichiamo che noi non siamo ciò che possediamo, ma ciò che diamo.

Con ciò non significa che mi vestirò di sacco o indosserò pantaloni demodè per i prossimi 15 anni.
Ma che mi sforzerò di non essere posseduta dalle cose, per sentirmi libera. E di questa libertà far dono.

Poi vedremo se ne sarò capace.

(promemoria: finchè non si fracasseranno tutti i bicchieri, non posso andare da Tiger con un giusto pretesto.)

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