24 luglio 2013

avere cent'anni

Avere cent'anni significa avere tanti ricordi, tani ricordi da raccontare e poche persone che vogliono ascoltare.
Ricordi avventurosi come dei film.

Significa essere nati in un epoca in cui non tutti avevano le auto e sforzarsi di capire cosa sia oggi internette.
O il bancu'matt.
Significa vivere in una casa con pochi oggetti . Perchè una volta gli oggetti erano così pochi che potevi ricordarti perfino quando li avevi comprati e magari pure chi te li aveva regalati, o quante LIRE li avevi pagati.
(Quando ancora uno stipendio era di....)

Significa che la cucina è rimasta quella che è stata comprata quando ci si è sposati.
Perchè la cucina si cambiava solo se la casa ti andava a fuoco.

Significa che ancora la lavatrice desta qualche sospetto, che la lavapiatti è un marchingegno concepito dal demonio, e il vecchio forno a gas non si butta ma viene buono per tenerci dentro le pentole.

Significa che i sacchetti vuoti della pasta si riciclano per mettere in frigo gli alimenti, e la carta di giornale per avvolgere le uova.

Significa avere le galline, al cui ritmo di vita ci si adegua, svegliandosi alle 6 e andando a letto alle 18, così almeno ci si sente in compagnia.

Significa anche parlare con la TV, perchè non si può solo ascoltarla (per altro al MASSIMO volume) , ma a volte bisogna ribattere pure alle porcate che dicono certi politici.

La nonna del Gmarito ha quasi cent'anni.
E' più arzilla di me. Di sicuro ha più memoria.
Si ricorda pure ancora il cambio in lire della moneta locale messicana (sì, è stata in messico, la nonna del Gmarito), quando io nemmeno ricordo che moneta c'era a Praga 10 anni fa.

Si chiama Anita,e questo ha senz'altro qualcosa a che fare con Garibaldi.

Andava a piedi al paese vicino. (Tipo 4 km). Anche incinta. All'ottavo mese.

Quando aspettava il secondo figlio sperava tanto che fosse un maschio, per suo papà, che aveva perso il figlio maschio prediletto quando aveva tre anni.

Purtroppo suo padre si è ammalato ed è morto poco prima del parto.

Lei era a casa dalla mamma, col padre morto in casa in attesa del funerale.

Il medico che viene per fare il certificato di morte le dice di non affaticarsi, che potrebbe partorire prima.
Ma lei, che ha la tempra d'acciaio e intimorirebbe un ufficiale dell SS (e forse l'ha fatto) ha visto le lune, e SA che non partorirà prima del dovuto.

Invece quella sera, si siede davanti al fuoco e sente che qualcosa non va.
La sua mamma si allarma, vanno a chiamare la levatrice.
E' febbraio ci sono metri e metri di neve (allora anche le nevicate erano più serie di adesso), la vecchia levatrice è malata, le mandano una ostetrica di 24 anni che ne sa probabilmente meno della nonna Anita.

I parenti venuti per la morte del papà non si fidano, insistono che vada alla maternità e non partorisca in casa. Scelta sicuramente moderna e controcorrente.
Nel frattempo io me la immagino, la nonna Anita, nel pieno delle doglie, che non fa una piega, e magari si mette a lavare a mano pure i calzini.

Finalmente, nonostante la neve, il taxi arriva.
La nonna Anita viene messa di fretta su una barella, e non fa in tempo a esser messa su un etto, che partorisce, con ancora indosso la pelliccia.

E' un maschio.

Ora guardo SuperMario e la nonna Anita.
Lui le sorride sdentato.
Lei, anche lei gli sorride, e lo guarda come da in fondo ad un tunnel.
Un tunnel lungo una vita, quasi cent'anni.
Come se ormai non fosse più qui, come se ormai lo guardasse dal cielo.










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