Quella volta
che sono tornata a casa e Megamind non c’era. Che il suo cellulare era spento. Che
il mio cellulare non si accendeva più perché stuprato troppe volte da cavetti
caricabatterie cinesi. Che quel giorno lui e il suo amico M. dovevano tornare
assieme per il pranzo e infatti il giorno prima avevo appunto preparato il risotto al
pesce da riscaldare (che giaceva lugubre nel frigo). Che per la disperazione
sono riuscita ad accendere un vecchio telefono con il tuchscreen rotto per
tentare di recuperare il numero di cellulare dell’amico, ma funzionando soltanto
il quadrante destro dello schermo tuch, riuscivo solo a cliccare l’icona del
calendario del ciclo mestruale. Che non sapevo come contattare la madre di M.
per chiedergli come era vestito suo figlio per chiamare la polizia e fare una
descrizione degli scomparsi. Che ho chiamato il Gmarito per esaurire la carica
isterica perché avevo bisogno di insultare qualcuno prima di chiamare CSI
persone scomparse. Che mentre stavo per uscire a cercare i due dispersi in
auto, i due adolescenti sono entrati in casa con la chitarra in mano, chiacchierando
amabilmente e si sono immobilizzati vedendo davanti a loro una quarantenne
scarmigliata che li guardava a bocca aperta mentre nel suo cervello incrociava
i dati disponibili: chitarra-venerdì-16.30. Cioè, come tutti i venerdì che Dio
manda in terra da almeno sei mesi, i ragazzi tornano alle 16.30 perché hanno il
rientro di chitarra.
-che c’è
mamma?-
-oh,niente.
Ho solo due rughe in più e una ciocca di capelli bianchi-
Quella volta
che dal lavoro ho chiamato casa per sincerarmi che Megamind- a casa da scuola-
stesse bene, e dopo ore che il telefono di casa suonava a vuoto e il cellulare
era spento, mi sono precipitata a casa col cuore in gola, per scoprire che semplicemente
era saltata la luce, ma lui stava facendo la tavola di arte e dunque non si era
sovvenuto di nulla.
Quella volta
che -sempre Megamind- doveva raggiungermi al lavoro alle ore 2,00 p.m. per
mangiare assieme, ma alle 2,35 ancora non si era palesato ed io dopo averlo
chiamato sul cellulare (ovviamente) spento, l’ho trovato a casa che si stava
mettendo su l’acqua per la pasta.
Quella volta
che WonderWoman all’uscita da scuola ha semplicemente deciso di andare a casa
con di una sua compagna senza avvertire nessuno, tantomeno la babysitter che
naturalmente mi ha chiamato nel panico dicendo che la bambina era sparita.
Quella volta
che CatWoman è andata in gita e il pulmann non tornava, la connessione internet
non funzionava, le maestre presenti non inviavano messaggi, e il destino di 26
bambini era scomparso dai radar della chat di classe da quasi un’ora.
Quella notte
che SuperMario era in preda agli incubi e vedeva ragni giganti ovunque
nonostante sembrasse sveglio, e che ho pensato fosse un danno cerebrale
permanente.
Quella volta
che Megamind ha avuto la polmonite, che Catwoman stava per andare in setticemia
e aveva anche la scarlattina e l’hanno ricoverata, che WonderWoman è stata male
per settimane e si è scoperto che aveva la mononucleosi.
Quella volta
che siamo andati in bicicletta tutti assieme in mezzo al traffico e io chiudevo
la fila e dicevo avemarie ogni volta che una macchina ci sorpassava stando
troppo vicina, che basta che un bambino sbandi un attimo e me lo tiran sotto.
Da quando
nascono, si vive nella grande paura.
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