26 agosto 2015

"Faccio un salto" Kierkegaard, aiutaci tu.

Visto che stiamo proseguendo su temi piuttosto pesi, ecco vorrei parlare delle scelte della vita.
Ormai credo che fare delle scelte, anzi fare Le Scelte, quelle irrevocabili (non il modello di smartphone, insomma)  sia sempre più faticoso.
Anzi, meno si sceglie, meglio è, perché si sa, quando scegli, devi scartare tutte le altre opzioni.
(Do you know Kierkegaard, amico mio?)
Un po’ come quelli che inviti alla festa di Capodanno a casa tua e ti dicono “faccio un salto”, cioè nè sì, né no, non si impegnano, si tengono aperti tutti gli inviti, così non devono rinunciare a niente. E poi, però non vivono. Assaggiano. Gli venisse a tutti la caghetta.
Ecco, in questo panorama in cui ci si può illudere che le strade siano sempre tutte aperte, in cui proseguire una adolescenza sine die, mi domando cosa spinga ancora a fare certe scelte in cui metti in gioco vita, futuro, risorse economiche, abitudini, libertà, bellezza, giovinezza, lavoro, insomma in cui sembra che quello che perdi sia di gran lunga maggiore di quello che guadagni.
Penso al matrimonio, penso al mettere al mondo dei figli, penso ad altre scelte equiparabili di vocazione assoluta.
Insomma, alla fine, ma perché sposarsi, che dopo i primi anni di fuoco, c’è in agguato la cenere del Gattopardo. Perché condividere i tuoi spazi, far fatica, sforzarsi di capire l’altro, cercare di far bastare l’amore anche quando gli anni avanzano, si diventa sgradevoli, ci si ammala, ci si sveglia quando l’altro russa, bisogna sbattersi ogni santo giorno per re-incontrarsi di nuovo. Ma il rapporto costo/beneficio è pessimo.
Per non parlare dell’avere figli, che è tutto un sacrificio, dal dolore del parto alla puzza di piedi adolescenti, sprazzi di felicità in una fatica quotidiana h24, senza possibilità di deroga, un investimento a perdere, senza nessuna garanzia sul futuro, visto che poi se ne vanno all’estero (certo, non farai altro che dirgli che all’estero ci sono più opportunità) e magari quando sei vecchio ti parcheggiano in una casa di riposo.
Alla fine la risposta che mi sono data è molto semplice, forse non basterà a tutti, ma a me basta. Non ha bisogno di una dimostrazione matematica, di comprove od esperimenti. E’ un assioma. No? Non si chiama così?
L’unica cosa che ci portiamo via, da questo mondo è l’amore. Donato, ricevuto. E dunque tutta la vita deve essere uno sforzo per compiere scelte che ci costringano ad amare. Sì, ci costringano. Perché il matrimonio, quello senza la data di scadenza sul retro, ci costringe ad uno sforzo d’amore. E mettere al mondo dei figli, ci costringe a mettere da parte noi stessi, ci costringe ad amare.
Solo queste scelte assolute (e un po’ assurde?) di dono di sé ci danno mille e mille occasioni per mettere amore in ogni momento, impedendoci di dimenticarci dell’altro, fosse un marito brontolone o un figlio puzzolente.
Certo, sono occasioni.
Come diceva Madre Teresa, che liberamente cito: fai poche cose, ma falle con amore.

E dunque, con le mie (nostre, gmarito!) scelte io credo di essermi facilitata la vita.

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