15 ottobre 2015

dedicato a Lavandina, ovvero sgabuzzino con vista

C’è un momento della vita in cui non sei più padrona del tuo tempo, della tua doccia, del tuo corpo, del tuo momento relax in bagno, del tuo sonno.
Quel momento, è il momento in cui diventi madre. E all’inizio non te ne fai una ragione.
Pensi, ok, va bene, però, dev’esserci qualcosa che non va. Cioè, per un po’ va bene, ma non è che poi sarà sempre così.
Quando finiranno le coliche. Quando comincerà a camminare. Quando imparerà a parlare. Quando il suo sistema immunitario comincerà a funzionare. Quando andrà all’asilo.
Quando si sposerà.
Ecco, dunque.
Probabilmente quando avrà 18 anni non vorrà più entrare nel bagno quando devi fare la pipì, ma non cambierà di molto. Il fatto, cioè, è che sarai madre fino alla morte e una certa libertà per un periodo imprecisato di tempo (quantomeno quella di uscire di casa quando ne hai voglia o di improvvisare un caffè con una amica, o salire sul primo treno che passa…ahem…) verrà meno.
Una mamma già nonna una volta mi ha detto: quando sei mamma impari ad accettare dei limiti, perché o ti dibatti nell’insoddisfazione di ciò che vorresti fare e non puoi, oppure impari ad amare ciò che puoi fare. (Ecco perché le donne invecchiano meglio. Hanno già imparato che la felicità può esserci anche se c’hai l’anca sbilenca e fare una passeggiata sul lungo mare diventa più complicato di quando avevi 20anni)
In ogni caso, il momento critico è quando il bimbetto di turno è piccolo, e (solo il tuo) urla, si butta giù dal carrello della spesa, non vuole stare sul passeggino, non gioca mai da solo, vuole solo camminare, vuole solo gattonare sull’asfalto, dorme quando vorresti uscire e non dorme quando tu hai carenza di sonno da un mese.
Ricordo mesi di straniamento ed esasperazione, praticamente ero una una detenuta di Guantanamo.
Deprivata di sonno, privacy al gabinetto, possibilità di shopping e di tenere una conversazione sensata con una persona adulta.
Ora, dopo anni, posso dire come sono sopravvissuta.
(sì, si sopravvive. Dopo ci sono altre limitazioni, ma i diritti fondamentali della donna vengono rispettati.)
Questo post lo dedico a mia cognata Lavandina, mamma di BiancaNeveIndemoniata e a tutte le neomamme o alle mamme recidive, che non vedono la fine del tunnel.
La mia tecnica si basa sull’autoincentivo. Altrimenti detto contentino.
Situazione: Devi andare per forza in banca. Ti basta un’ora.
L’errore: Chiami la babysiter/nonna per un’ ora, esci di corsa, corri in banca, chiami la babysitter-nonna per avvertire che forse tarderai, senti in sottofondo urli disumani, torni a casa furibonda e ti accorgi di avere sbagliato a comunicare il numero di contocorrente.
Cosa fare invece: Chiami la babysitter-nonna per l’intera mattina o pomeriggio. La avverti che non sai quando (e SE?) tornerai. Vai a fare colazione al bar, cappuccio e brioche. Sbrighi le faccende in banca. Passi da Feltrinelli. Passi da Benetton. Chiami al telefono la tua migliore amica. Visto che si è fatta una certa ora, decidi che mangerai con lei al bar, torni a casa. Non importa cosa troverai, perché per qualche ora sarai stata qualcosa di diverso dalla mamma-con-macchie-di-rigurgito.
Situazione: La bimba dorme. Hai un ora e devi metterci dentro più cose che puoi. Lavare il pavimento, fare la doccia, lavorare, guardare la mail.
L’errore: Fai tutto in ordine sparso e approssimativamente. Appena messo via lo straccio, coi capelli ancora bagnati, il mostro si sveglia e tu aspiri alla fuga.
Cosa fare: dividi l’ora in due parti. Una parte di piacere a scelta (rivista, cazzeggio social, lettura libro, pulizia dell’argenteria -c’è chi si rilassa così, eh-). Una parte di corveè. Realistica però. O il pavimento. O rispondere alle mail. O pagare le bollette. Io scelgo prima il piacere poi le cose pallose, così quando il mostro si sveglia  ( e comunque aspetto 10 minuti ad accorrere) non mi dispiace così tanto quanto mi dispiacerebbe se stessi vedendo una puntata di True Detective.
Situazione: Non ne puoi più sono giorni che piove, vuoi uscire, ti basta il tragitto fino al lattaio, sei disposta pure a parlare del Campionato di Calcio con quel marpione del giornalaio pur di non sentire la sigla di Peppa Pig, ma il piccolo mostro (lo ami tanto, sì, ma ciò non cambia nulla) dopo dieci minuti sul passeggino si divincola e recita la parte di bambino disadattato o posseduto dal demonio.
L’errore. Stai in casa. Guardi il tuo pargoletto partorito con dolore con profondo risentimento. Poi ti senti in colpa. Poi ti senti profondamente infelice. Arriva a casa il marito e gli sputi in un occhio aggratis, appena entrato.
Cosa fare invece: Inutile lottare col destino, forse oggi non uscirai. Però puoi programmare un contentino per domani. Farai la cresta temporale al lavoro, uscirai un po’ prima al mattino o tornerai mezz’oretta dopo, finito il lavoro. E quel tempo rubato lo organizzerai al meglio. Intercetterai un amica con cui prendere il caffè, oppure ti fermerai a prendere quel paio di orecchini che hai visto 3 mesi fa, che magari nel frattempo sono in saldo. Ti fermi alla panetteria e te magni un bombolone. Una volta pianificato il tempo rubato, avendo una uscita di sicurezza mentale, eviterai il pericolo di abbandonare la tua creatura all’inedia.
E’ così che sono sopravvissuta, con scampoli di tempo, i quarti d’ora d’oro, o pregustando il momento in cui la prole dorme e posso guardarmi una puntata di una qualsiasi serie, approfittando del tragitto da casa al lavoro per un’evasione, progettando minifughe da Alcatraz armata di un piccolissimo cucchiaino.
Uno potrebbe dire: però, possibile che io debba rubare del tempo, che prima era tutto per me?
Sì, possibile. Però quel tempo rubato sarà preziosissimo, sarà di prima qualità.

E, anche se per un certo periodo sembrerà impossibile, quella stanza tutta per sé, che prima era un loculo, si trasformerà in uno sgabuzzino, poi in una cameretta con vista, poi in una veranda vetrata. 

Nessun commento:

Posta un commento