20 novembre 2017

Cerco di immaginare come deve essere avere centouno anni nel 2017.
Essere nati quando l'elettricità era ancora rara e quasi magica (beh, quest'ultimo aspetto me lo immagino, vista le mie competenze in campo di fisica.)
Essere nati quando qualsiasi cosa era più lenta, forse perfino la vita.
Quando un cappotto lo rammendavi tutta la vita.
Avere visto gli stranieri invadere il tuo cortile e parlare una lingua incomprensibile.
Avere tanti fratellini in cielo.
Quando lavorare a maglia non era un hobby di tendenza delle star, ma un modo per avere qualcosa di caldo addosso.
Quando essere lontani significava non sapere se l'altro fosse vivo per mesi.

La nonna Anita  ha visto cose che noi umani non possiamo immaginare.
E alla fine, quando il mondo inizia a smaterializzarsi, non ci sono più i soldi ma "ilbancumatt", le foto compaiono e scompaiono da album inesistenti; quando tutto diventa talmente fluido e i confini geografici ma anche esistenziali sbiadiscono,
quando nemmeno maschio e femmina sono più tanto sicuri, alla fine pensi che non appartieni più a questo mondo, che c'è stato qualche errore, una distrazione.
Eppure non è così, perchè se la nonna Anita, con questo nome da guerriera, è rimasta con noi fino a 101 anni, è perchè suo malgrado ha avuto qualcosa da insegnarci fino all'ultimo.
Qualcosa che non è solo il retaggio di un passato che ci sembra- oggi- eroico, no. Qualcosa di attuale, di presente e urgente.
Ci ha insegnato qualcosa sull'amore, da dare e da ricevere, spesso, in entrambi i casi, faticoso. Ma non per questo meno vero.
La nonna Anita è partita il 4 novembre, a 101 anni. Dopo la festa dei Santi, dei morti, dell'Unità Nazionale e delle forze armate: cosa potevi volere di più?
Di te, che ho conosciuto 15 anni fa, quando già dicevi che era ora che morissi ma intanto eri più informata di me sull'economia geopolitica e bacchettavi il Papa, facevi a maglia golfini per tutti i nipoti, leggevi Zichichi, zappavi l'orto e curavi anche le galline,
di te mi ricorderò sempre dei pocket coffee che ci offrivi assieme all'amaretto di Saronno( che me ne uscivo sbronza da casa tua) della cucina anni '50 tenuta come uno specchio, delle uova che ci davi per i bambini, con su scritto a matita la data. Ricordo di quando mi raccontasti dei tuoi numerosi spasimanti al tempo in cui eri vedova, di quando hai partorito d'inverno con la pelliccia.
Della tomba del tuo fratellino morto a 3 anni, dei bachi da seta che erano i tuoi compagni di gioco perchè eri una bambina sola.
Dei tuoi viaggi in giro per il mondo, della tua autonomia, e della tua fede.


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