Ho
scoperto che nella ridente cittadina in cui la gfamily prospera, esiste un
luogo chiamato ciclofficina popolare. Il nome già mi riporta a qualcosa
d’antan, un po’ come nuovo cinema paradiso, non so. Mi suscita immagini alla
Rockwell (e se non sapete chi è, provvedete, vi darò una mano pubblicando una
sua opera), gelaterie anni ’50, la graziella rosa che avevo in campagna,
vestiti a ruota, e merende a base di pane e marmellata. Sembra che non c’entri
niente, ma il mio cervello funziona così, mi dicono si chiami brain storming. O
comunque è una di quelle terapie che si fanno coi pazzi.
In
ogni caso, cos’è la ciclofficina popolare?
E’
prima di tutto un ‘idea.
Quella
di avere un luogo in cui potere riparare la propria bicicletta, utilizzando
risorse e materiali e attrezzature condivise e condivisibili, un luogo dove
imparare cos’è una camera d’aria e a ripararla, e a fare altre cose che non so,
in quanto la mia capacità di manutenzione della bici si riduce a gonfiare le
gomme, e rimetter su la catena quando scende (e questa è la mia massima
performance tecnica). Ovviamente la ciclofficina è più di tutto questo. Il
ragazzo che l’ha fatta nascere, ha ideato un luogo in cui le bici risorgono, è
un po’ come un Don Mazzi delle biciclette.
Lui
recupera vecchi inutili rottami abbandonati, che per tutti sono da discarica,
li guarda e vede altro. Vede una potenzialità, vede l’anima della bicicletta e
le dà una seconda chance. La porta nell’ officina, la smonta, la cura, la
scrosta, la ripara, sostituisce i pezzi
senza speranza, la dipinge, la restaura. Si accettano anche donazioni e
baratti.
E’
così che ho portato a riparare la biciclettina, già riciclata, di Catwoman, e
mi sono portata a casa una bici di taglia più grande e più adatta a lei, un
modello che io chiamo modello E.T., lasciando un rimborso spese per la
sostituzione della camera d’aria.
Nel
frattempo forse qualche altro bambino di taglia inferiore si porterà a casa la
bici più piccola.
La
ciclofficina organizza anche corsi, accetta qualsiasi forma di collaborazione,
nell’ottica della condivisioni delle competenze, del riuso, della creatività,
del recupero della manualità e della relativizzazione del consumo coatto. Ciò
che mi ha fatto innamorare di questa idea, non è tanto l’occasione per
risparmiare, ma soprattutto la rivalutazione della gratuità. Perché oggi, ciò
che non costa niente in termini economici, sembra non avere alcun valore.
Quando invece dovrebbe essere chiaro che il tempo che si dedica a qualcuno o
qualcosa-che è la vita- è la misura di ogni cosa.
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