Ho messo a fuoco un altro mio difetto. Da mettere nella
collezione assieme agli altri.
L’incapacità di creare abitudini. Per creare abitudini ci
vuole autodisciplina.
E’ un po’ come creare dei contenitori in cui fare fluire l’energia,
qualcosa di rassicurante a cui ci si aggrappa e rende la vita più semplice
proprio perché, una volta creato un sistema di abitudini, lo sforzo diminuisce
a favore di una certa spontanea inclinazione a fare determinate cose quasi in automatico.
Tipo, pulire i fornelli ogni sera, alla Domenica alzarsi ad
una certa ora che sia più vicina alla colazione che al digestivo dopopasto,
lavare il pavimento della cucina tutti i martedì, preparare la merenda dei
bambini la sera prima.
IO vado a sentimento. Io, anche per fare il letto ogni
giorno ho bisogno di un surplus di ispirazione. Se la Musa della lavatrice
viene a farmi visita, sono capace di fare due settimane solo a lavare. In
attesa che arrivi poi la musa del ferro da stiro. Anche se è più probabile che
arrivi prima la Santa Colf. Talvolta c’è il trip del mangiare sano, tutto al
vapore, passati insipidi di verdure e cruditèe olio limone, dopo una settimana mi
trasformo nella sdàura bolognese e vado di salsiccia, ragù, friggione, ravioli
burro e forma.
Un domenica potrei pure avere l’ispirazione di svegliarmi
alle sette per preparare il pranzo della domenica
Be, io vado avanti ad improvvisazione. Io sono la donna last
minute, perché solo così, nell’urgenza del momento, riesco davvero a dare-non
dico il meglio- ma una prestazione accettabile.
Così capitano le giornate “cura delle piante”, in cui, dopo
semestri di incuria in cui il mondo vegetale di casa si autogestisce tutto
sommato discretamente, comincio a dopare con fertilizzante ficus e tronchetti
della felicità e l’orchidea (che ha evidentemente seguito un corso di
sopravvivenza), rompendo un l’equilibrio microclimatico e clorofilliano al
punto che spesso le piante muoiono poco dopo il trattamento.
Oppure le giornate “riorganizzazione degli spazi” che
assomigliano di più al bombardamento al Napalm in Vietnam, che provocano spesso
la fuga di mariti e prole, quando possibile. Poi, dopo l’estemporaneo trip, si
ripiomba nella casualità, nell’accumulo di oggetti sbagliati nei posti
sbagliati, perché magari mi sono focalizzata sulla macchina del pane, lo yogurt
fatto in casa, l’arredamento minimal chic, i detersivi fatti in casa, la
settimana dell’intellettuale, quella dell’amore e gentilezza e pazienza senza
frontiere, il pomeriggio del decluttering e il mese dell’accumulatrice seriale.
Ora mio padre, che se si sveglia dopo le 8,30 vuol dire che
è malato oppure che non ha messo indietro l’orologio durante il cambio dell’ora,
cultore dell’autodisciplina e creatore di quelle abitudini che danno forme
rassicuranti all’esistenza, distingue Habitus da Actus.
Distinzione psicologica nonché spirituale secondo cui l’habitus
è appunto la capacità di creare abitudini, darsi una regola (un po’ come nelle
comunità religiose), avere quella costanza che fa sì che si possano
interiorizzare certi gesti.
Questo è: Ok.
Poi c’è l’actus, l’atto estemporaneo, che può essere pure
eroico, ma si genera sull’onda del sentimento, e si esaurisce una volta
compiuto. Più facile, più eclatante, più gratificante. Il grande gesto. Ha un coinvolgimento
immediato, ma anche una data di scadenza.
Questo è: Ok ma non sufficiente.
Questa sono io. Una serie di actus che richiedono una buona
dose di sforzo iniziale ma a volte non lasciano seguito o traccia (a parte
quella volta che ho deciso di tingere tutti gli asciugamani rovinati,
producendo biancheria rosa per due settimane).
Ora la mia natura è questa.
Lavatrici a sentimento.
Cerco una ricetta per un Habitus della mia misura. Che non
uccida l’ispirazione.
Ma che consenta fornelli puliti ogni sera.
gemelle identiche. te lo farò confermare da mio marito. credimi. ti voglio bene.
RispondiEliminaMonozigotiche. Vi siete messe d'accordo, dite la verità?
RispondiEliminaMonozigotiche. Vi siete messe d'accordo, dite la verità?
RispondiEliminano, ma siamo connesse telepaticamente. La domanda è: c'è una cura?O dobbiamo (e dovete voi mariti) rassegnarci?
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