19 settembre 2016

Outfits


Fino a un imprecisato tempo fa il mio armadio era come quello di Dylan Dog, ovvero pieno solo di jeans e maglioni tutti uguali.

Non conoscevo il significato di outfit, credevo fossa una cosa tipo OUTING, finchè la mia lesboamica ha colmato questa lacuna.

Così ho cominciato a decidere come volevo vestirmi, che è la stessa cosa che decidere chi vuoi essere. E’ così che ho comprato stock di cose a righe. Poi sembravo un gondoliere e mi sono spinta anche su altri mood, come i pois. Sono gradualmente subentrate altre fantasie, stampe. Più mi sembra raccontino una storia, più mi piacciono.

Ho scoperto che esiste un mondo totalmente isterico di donne che non hanno nulla da fare tutto il giorno e si fanno chiamare fashion blogger, e litigano tra loro come scimmie, ma ho preferito non indagare.

Sostanzialmente scopro cosa va di moda guardando i passanti. Ogni tanto è un’esperienza shockante.

Per esempio.

Inspiegabilmente il 2016 ha partorito delle cose che-ho appreso- si chiamano culottes. Ma che non sono le mutande. Son delle braghe appositamente concepite per farti sembrare, nella migliore delle ipotesi, un clown anni ’40 in un film neorealista. Nella peggiore, ad un divano.

Sostanzialmente son quei pantaloni larghi e corti (una mutazione genetica del famigerato ed orrorifico “pinocchietto” che già solo per il nome, dovrebbe far impensierire, no?), appositamente inventati da una stilista che voleva vendicarsi delle donne alte e magre e fighe creando l’unico capo che le avrebbe fatte diventare delle cavallone antistupro con un effetto ottico che le abbassi di 10 centimetri buoni.

Poi ci sono gli shorts. Che sono come le culottes, ma non confondiamoci, intendo mutande sotto mentite spoglie. Ovvero lo sdoganamento della mutanda. Possono essere portati in due modi. O con una maglia lunga che faccia supporre che tu sia uscita di casa dimenticandoti la parte sotto. Oppure con una maglietta corta per fugare ogni dubbio che non sei uscita con la passera per di fuori.

Ne faccio una questione estetica. Se non sei al mare o in campeggio o se non hai 15 anni e sei in oratorio, no. Sei brutta.

Poi ci sono i sabot con il calzino. Corto. Possibilmente sciabattante, ovvero senza il dietro, ovvero come la ciabatta di plastica di mia nonna quando faceva le pulizie in estate.

Robe che pensavo che solo i tedeschi in vacanza. Una cosa agghiacciante. E inspiegabile. Che io neanche in casa con l’influenza avrei il coraggio.

Inoltre sono tornate quelle cose che sapevo esistessero, ma onestamente non credevo che qualcuno le indossasse davvero.

Le tute.

Ovviamente non dico le tute da ginnastica, ma quel capo che ha la parte sopra attaccata alla parte sotto (notate il linguaggio d’alta moda) che sostanzialmente credevo fossero state indossate davvero solo dalla Barbie Malibù degli anni 80. Sono uno di quei capi che idealmente potrebbero piacere, ma hanno il dono di trasformarsi, appena li indossi, in un pigiamone intero cui mancano solo i bottoni dietro per il cambio del Pampers.

Ecco io mi chiedo solo, come la mia saggia tata Cordelia (80 anni di sapienza di sduàura Bolognese con il dono di eleganza innato):

-Ma ‘sta gente, in casa, non ce l’ha lo specchio?-
 

Nessun commento:

Posta un commento