28 novembre 2018

cos'è la poesia? riflessioni di un' inesperta

Metto per iscritto le mie riflessioni improvvisate e inesperte sulla poesia.

Che cos'è la poesia?
Un personaggio del romanzo autobiografico La Campana di Vetro di Sylvia Plath, le dice :
-Sai cos'è la poesia? La poesia è polvere.-
Sylvia in quel momento non ha la risposta pronta, rimane turbata, probabilmente offesa. E risponde che probabilmente è vero.
Ma nonostante ciò alla poesia lei sacrifica la sua vita, e fa del suo suicidio l'estremo suo capolavoro lirico.
Che cosa sia la poesia è come domandarsi cosa sia l'arte, con la differenza che la poesia usa le parole, che con il loro ipnotico suono, come veicoli aerei e inconsistenti,  creano e trasportano immagini inedite e personalissime, onde elettromagnetiche impalpabili emanate dal cervello.
Mi pare che l'arte nasca da una nostalgia, che è la percezione della separatezza del sè dalle cose.
L'artista sente che tra se e il mondo, la sedia, la foglia, la città, c'è una frattura incolmabile che lo rendo estraneo e condannato a questa siderale lontananza. 
Questo genera una dolorosa nostalgia di una perduta unione con la polvere senza memoria della materia, del creato, dell'altro-da-sè.
Con l'arte cerca di ricucire inutilmente una lacerazione antica, e facendolo, non fa che creare un doppio della realtà, che allontana ancora più inesorabilmente l'artista dal mondo da cui si sente esiliato.

L'artista sarà sempre infelice, allora? La bellezza da cui si sente escluso  lo condannerà ? Non penso. A volte l'artista comincerà ad abitare quella realtà da sè ricreata, rendendolo un rifugio che gli permette di sopravvivere. Da lì- anzi- dalla propria campana di vetro interpella il mondo esterno attraverso la sua opera.
Quadri e sculture , tangibili e mai perfettamente esplicabili suscitano sempre una domanda, e trasformano lo spazio e l'interlocutore che le guarda.
Ma la poesia ha qualcosa di differente. La poesia è sottile, è davvero come polvere? Sembra ininfluente, ma vibra nell'aria e si posa. 
Le parole sono ingannevolmente univoche. Anche se è l'artista che parla, pesca le parole dentro il pozzo profondo della sua vita interiore che rimane necessariamente nascosta, sottratta parzialmente alla comprensione che la esaurirebbe.
Ma a chi parla il poeta? Lui è davvero come il vaso vuoto posseduto dal dio. Il poeta si riempe del doloroso dibattersi dall'anima dell'uomo, crede che il dolore per la bellezza perduta sia suo, invece è dell'umanità intera. E faticosamente, come un artigiano prigioniero della propria arte, comincia a prendere tutto quel materiale e a cesellarlo, a farne parole e suoni, e li presta alle orecchie di noi, poveri uomini senza dono, che non sanno dare voce alla propria inquietudine, o stupore, o amore, o ebrezza, o pienezza, o gioia.
Il poeta scrive per se stesso, per non farsi soffocare dai detriti di questo mondo, ma ci consente di dare voce al torcersi della nostra anima tormentata, ci risveglia, ci mostra come una tazzina di caffè toccata dal sole del mattino porta in sè un mistero che non avevamo intravisto, ma giace nel profondo dei nostri sogni.

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